In qualsiasi metropoli italiana ed europea si possono incontrare nostalgici che ricercano nell’asfalto quella sensazione che solo le onde possono regalare. Sono sempre di più inoltre le woody wave che popolano la nostra penisola, rampe ad hoc progettate per allenare in maniera funzionale il surf quando il mare piatto. Visto che spesso da noi il mare è piatto, il numero di praticanti del surfskate è schizzato alle stelle, a tal punto che non mi viene difficile ipotizzare che in Italia esistano più i surfisti dell’asfalto che surfisti di mare.
Nel mio ruolo di istruttore di surf e surfskate ho notato che chi si avvicina al surf arrivando dal surfskate (o viceversa) spesso ha una concezione un po’ offuscata della relazione tra le tavole con le pinne e quelle con le ruote. Ho quindi deciso di arruolare un team di coach per indagare sulla questione. Tutti e tre surfisti, sia di onde che di woody waves, provenienti da diverse zone d’Italia. Il primo è Edoardo Manzo: classe 2001, da Roma, ha da poco avviato la sua academy in un nuovo centro estivo situato nel nord della capitale. Abbiamo gareggiato contro per anni, e devo ammettere a malincuore che spesso mi ha battuto: quando Edo gira in rampa bisogna prendere appunti.
A seguire abbiamo il romagnolo Fabrizio Gabrielli, già noto ai lettori di Tuttologic per aver partecipato al podcast Generazioni – Riccione. Per chi non lo conoscesse, è tra i più brillanti esponenti del longboard italiano, sempre pronto a dar filo da torcere ai plurimedagliati Fabbri e Maiorca.
A chiudere il cerchio c’è Andrea Lamorte. Di Torino, da parecchi anni di stanza in Liguria, Andrea ha tutto ciò che vorreste dal vostro maestro di skate. È osteopata, shortboarder, laureato in scienze motorie e chi ne ha più ne metta: a livello di preparazione e studio è tra i più rispettabili surf-coach d’Italia, difficile trovare un cv più ricco.
Oramai il surfskate ha spopolato: dalle grandi città alle passeggiate sul mare è pieno di persone che sfrecciano immaginandosi di surfare un’onda ma sull’asfalto…chi sa andare bene in surfskate sa anche surfare?
Manzo: Se una persona si approccia ad una delle due discipline e poi vuole coltivare l’altra sarà sicuramente avvantaggiato. Da un lato c’è chi in mare va come un treno e una volta messo sul surfkskate non sa fare uno slide nemmeno su due ruote. Al contrario, ci sono invece tantissime persone che iniziano prima surfskate e su un softop non sanno manco andare dritti. Non si può parlare in termini assoluti, il discorso è sicuramente soggettivo.
Gabrielli: Sono convinto che chi surfa già da tempo avrà facilità sul surfskate, lo stesso vale al contrario.
Lamorte: Assolutamente no. Il surfskate è un buon mezzo di allenamento se usato in maniera sensata. Conosco surfisti molto forti ma inguardabili sul surfskate e persone molto preparate nella teoria con due ruote sotto ai piedi che non sono in grado di surfare. Sul surfskate si ha una superficie ferma, quindi è più facile riprodurre i movimenti. In acqua poi bisogna saperli riproporre nella sezione giusta dell’onda sfruttando la sua forza.
Il surfskate è l’allenamento più sia utile al surf oppure esistono esercizi più propedeutici?
Manzo: Secondo me sì, perché puoi allenare sia la tecnica dei bottom turn che delle manovre, concentrandoti sui particolari di ogni movimento: tecnica, esplosività, velocità di esecuzione. Tra gli allenamenti propedeuticI menzionerei il training funzionale in palestra e l’indo board, che sono entrambi ugualmente utili.
Gabrielli: Concordo in pieno! L’unica cosa su cui vorrei puntare i piedi, però, è l’aspetto tecnico. Se non si è seguiti da una persona competente che sa come impostare il lavoro in una prospettiva surfistica è facile fare danni.
Lamorte: È molto utile per allenare determinate cose, ma quello che spesso manca è il contesto in cui inserire certi insegnamenti. All’interno di un contesto di progressione didattica, il surfskate consente di creare una memoria motoria di alcuni movimenti che possono essere ripetuti in acqua se usati in maniera cosciente. Ci sono comunque altri metodi molto più propedeutici: fare surf, tantissimo. Più propedeutica ancora forse è la simulazione a secco. Nonostante ciò, la differenza sta nella consapevolezza con cui si affronta l’allenamento. Non è quindi l’esercizio in sé la soluzione di ogni problema, ma con che testa lo fai.
Se dovessi individuare l’esercizio in surfskate che più si ricollega ai movimenti in acqua?
Manzo: Direi il bottom turn, ma più per un livello avanzato però. Nel surf è tutto: se impostato bene il bottom turn è alla base di ogni manovra eseguita correttamente. Ecco perché ci alleniamo: per migliorare la tecnica della compressione, per andare bene giù e poi rilasciare la forza quando ci distendiamo per salire verso la parte verticale dell’onda.
Gabrielli: Per creare più connessione tra noi e la tavola e generare la velocità, un esercizio base che vi potrà aiutare è il seguente: una volta che vi siete dati una piccola spinta, con i piedi nella posizione corretta esercitate una pressione omogenea. Prima sulle punte, poi sui talloni. Fatelo focalizzandovi sul movimento delle vostre caviglie, che dovranno rimanere mobili, e piegate leggermente le gambe. Ecco, quella è la sensazione del rail to rail.
Lamorte: Un dettaglio per cui personalmente ho trovato molto utile il surfskate è la possibilità che ci da di comprendere il ruolo della parte alta del tronco rispetto alle gambe nella gestione dei carve. In quel caso il surfskate da un feedback molto simile a quello che possiamo osservare in mare. Per altre manovre come possono essere i re-entry e gli off the lip, la risposta che può dare lo skate è leggermente diversa, quindi non è del tutto attendibile. Sugli air reverse diciamo che il gioco non vale la candela: rischiare di farsi male provando un air con il carver e non surfare per chissà quanto non ne vale la pena.
Quali sono i limiti del surfskate nell‘effettivo trasferimento di movimenti e sensazioni allenati su asfalto in acqua?
Manzo: Uno dei limiti principali del surfskate è che sotto, essendoci l’asfalto, si utilizzano meno i rail. Non a caso, il rail-to-rail che riproduciamo in acqua per generare velocità non corrisponde alla pompata che facciamo sulla woodywave. In acqua sicuramente si ha molto meno equilibrio e quindi è molto più difficile gestire la situazione e la stabilità sulla tavola.
Gabrielli: Il limite più grosso del surfskate training riguarda la mancanza dell’imprevedibilità del mare. Le rampe che utilizziamo per allenarci hanno superfici quasi uniformi, che non cambiano durante la nostra surfata. Ci consentono quindi di allenare un gesto tecnico in maniera ripetitiva. Nonostante questa lacuna, però, allenarsi in surfskate contribuisce a rendere i nostri movimenti più istintivi in mare, avendoli già metabolizzati a secco.
Lamorte: Il limite più grande del surfskate è che diventa un’arma a doppio taglio, in quanto il feedback che uno riceve dallo skate è leggermente diverso rispetto al feedback che riceve dall’onda. Poiché l’allenamento crea una memoria motoria, facilmente proponibile in acqua, se uno si sforza riuscirà a progredire tanto sul surf quanto sul surfskate. Al contrario, se si imparano delle manovre con un feedback differente, quindi non con la tecnica giusta che si dovrebbe utilizzare in acqua, poi si imparano i movimenti sbagliati. E modificare delle cose sbagliate è ancora più difficile che impararne di nuove. È quindi molto importante per chi utilizza lo skate come fonte di allenamento per il surf che sia seguito da una persona competente che lo sappia indirizzare sugli aspetti tecnici corretti.
Con l’esplosione del surfskate anche le aziende che ne producono si sono moltiplicate, tanto che oggi è possibile sperimentare almeno una decina di tecnologie diverse per quanto riguarda i truck . Hai una marca/modello preferito che più consiglieresti al pubblico?
Manzo: Ci sono tante aziende che producono surfskate al giorno d’oggi. Ma anche solo deck, truck, ruote e cuscinetti. Adesso chiunque ha un surfskate con cui allenarsi a secco quando non ci sono le onde. È un settore in continuo sviluppo ed evoluzione. La mia marca preferita la sai: è Carver, da sempre. Sono stati i primi surfskate, old school is better. Tuttavia ci sono una marea di altre marche, come Slide e Trithon, che stanno facendo il boom e sono di qualità.
Gabrielli: Anche io sono di parte e dico Carver. I truck che preferisco sono senz’altro i CX, anche se nel flat monto un C7. In fin dei conti è soggettivo, e comunque di attacchi ce ne sono un’infinità, l’importante è farsi consigliare da una persona competente.
Lamorte: Devo dire di averne provati parecchi e adesso ce n’è veramente di ogni tipo. Tempo fa mi aveva contattato Smoothstar per chiedermi di diventare il rappresentante coach per la parte italiana. Per vari motivi io non ho avuto modo di accettare questa offerta, però mi hanno comunque dato un surfskate prima che decidessi di non accettare. L’ho usato un po’ io e l’ho fatto usare pure ai ragazzi che alleno, e devo dire che tra tutti l’ho trovato il simulatore di surf che più si avvicina al feeling che abbiamo in acqua. Inoltre, permette di curvare in pochissimo spazio: si possono quindi provare i movimenti lenti, un vantaggio dal punto di vista della sicurezza nell’ambito dell’allenamento. Per concludere, Smoothstar è uno dei migliori, meglio di Carver, e sulla stessa linea d’onda anche YOW non è per niente male.