Ho un problema. Lunedì 8 febbraio ho ordinato una Al Merrick, Rocket Wide custom per sostituire la sua sorella ormai stanca, compagna di mille avventure. L’attesa, mi dicono da Citybeach, è di circa 4 mesi: “per l’estate dovresti averla”. Le ultime famose parole. Sì perché poi le cose cambiano (non per colpa dei ragazzi di Citybeach eh, sia chiaro) e parte un sadico gioco al rialzo. Nuova data di consegna: 25 luglio. A fine giugno il 25 luglio diventa settembre e più avanti chissà. Meglio dimenticarsene. Nel frattempo sono partito per il surf-trip estivo senza la tavola che bramavo. Ho questo problema e non penso di essere l’unico tra noi.
Dopo aver letto abbondantemente sulle difficoltà di approvvigionamento e la carenza di personale adeguatamente formato alla produzione di una tavola da surf, sono andato alla fonte per capire cosa stia realmente succedendo nelle fabbriche. Ho parlato con Jaime, General Manager di Olatu, l’unica azienda che produce in Europa e su licenza i brand Channel Islands (Al Merrick), Lost, Pukas, Christenson, McTavish e altri ancora. Jaime si presenta ostentando fieramente la conduzione familiare dell’attività. Lui fa parte della seconda generazione di Olatu, è il figlio di uno dei fondatori dell’impresa con sede alle porte di San Sebastian, nei paesi baschi.
“Tutto è iniziato col lockdown: siamo stati chiusi 2 mesi, la produzione si è fermata ma in quel periodo si sono sommati centinaia di ordini”. Esordisce così Jaime, sottolineando la concomitanza di vari eventi: il mondo finito in standby per qualche mese, certo, ma anche l’aumento vertiginoso dei praticanti del surf. Su questo rincara la dose: “A novembre 2020 è partita la campagna vendite per il 2021. Siamo andati in giro per i surfshop d’Europa a registrare gli ordini, che sono aumentati del 250% nel post-covid”. Da Citybeach, di gran lunga il miglior venditore italiano, ho saputo che il totale degli ordini per l’ultimo anno ha raggiunto la stratosferica cifra di 13.000 unità. Dato che Jaime non può confermare: “Il numero delle tavole che produciamo è confidenziale”.
Una rincorsa contro il tempo che, se mi passate la metafora, è arrivata a valle (da noi consumatori) come una valanga di problemi che si sono accumulati a monte della filiera. Lo stop della produzione ha coinvolto tutti e come ci spiega Jaime, permane ancora oggi una carenza di risorse materiali: “Reperire dei blanks (il core di una tavola fatto di poliuretano e/o polistirolo, ndr) è diventata un’impresa, soprattutto trovare i blanks giusti perché ne esistono ormai di vario genere e che nascono già con una specifica tipologia di rocker”. Questo discorso mi interessa, non ne ho mai sentito parlare quindi incalzo Jaime: “Sì, oltre alla misura del blank cambiano anche longheroni e rocker. Questo significa che spesso non abbiamo i blanks adatti per continuare la produzione di un determinato modello di tavola, è un gioco di incastri. L’altra questione riguarda le shaping machine, che si possono comprare soltanto da 2 aziende industriali in tutto il mondo. Portarne una nuova in fabbrica in tempi di pandemia è stato impossibile”. Se è stato difficile ottenere approvvigionamenti di risorse materiali, Jaime assicura che mettere in casa risorse umane qualificate sia stato altrettanto complicato. A proposito di questo, il manager basco ci riporta un aneddoto: “Chiamo Channel Islands, che è un nostro partner e gli dico: non è che potreste mandarmi uno shaper? Da Santa Barbara rispondono così: hey ma scherzi? Non possiamo permettercelo proprio. Adesso ci stiamo attrezzando per formare direttamente qui da noi shaper esperti e che possano rispettare i nostri standard di qualità”.
Approfitto della situazione per chiedere ad un interlocutore disponibilissimo e competente quali siano stati i bestseller dei principali brand che Olatu produce. Anche qui Jaime la prende alla larga, impostando un discorso che mi torna perfettamente: “Non c’è più la marcata differenza che avevamo fino a qualche anno fa tra modelli di tavole high-performance e di tavole più lifestyle, che sono quelle tavole stilose e con un gusto marcatamente retrò. Ormai le due correnti di pensiero si uniscono in quelli che poi il mercato premia come bestseller”. A questo punto sono veramente curioso di sapere, mi aspetto la sorpresa che puntualmente arriva. “Per Channel Islands vince il CI Mid (sotto i piedi di Sage Erickson nella gallery sopra), un mid-lenght che ha cambiato la percezione di molti rispetto a questo genere di tavola”. Lost invece? “Driver 2.0: la regina di Stab in the Dark, All-Star Edition. Per Mayhem rimane in vetta uno shortboard che funziona su tutto”. Pukas, infine, lo shaper autoctono: “È andata molto forte la Lady Twin“. Le linee della Lady Twin sono un capolavoro, scorrete la galleria per vederlo coi vostri occhi.
Ho avuto l’idea di questo approfondimento sullo stato dell’arte della produzione di tavole da surf in Europa perché ero preoccupato dall’aumento dei prezzi. Ho letto su Stab questo articolo, ho iniziato a farmi delle domande. Jaime conferma i miei timori: “I prezzi si alzeranno, è inevitabile. In effetti è già successo: anche noi abbiamo dovuto cedere a maggio. È qualcosa che prescinde dalla nostra volontà ma che ci piove addosso dall’alto. Se pani, resina, polistirolo e soprattutto i trasporti costano di più, noi come facciamo a starci dentro?”. Un colpo duro da digerire perché una tavola per noi è il tramite per la felicità, un oggetto frutto di un sogno. La spiegazione che mi dà Jaime mi convince però che forse è giusto così: “Se ci pensi fare una tavola da surf è un processo quasi interamente artigianale. Il primo step lo fa la shaping machine, d’accordo, ma poi la tavola passa per le mani di 5 persone con mansioni specifiche e tutte essenziali al risultato finale”.
Quindi big money? Avrei scommesso di sì, e invece…”Te lo dico con la massima sincerità: Olatu paga gli stipendi ma non produce guadagno, non ancora almeno. Ho parlato anche con altre aziende del mondo surf e nonostante si abbia la sensazione di vendere ogni prodotto che hai in casa, poi alla fine quando vai a fare i conti i numeri non sono così buoni”. Sul bilancio di Olatu pesa anche il drammatico incendio del 2017, quando l’intera fabbrica andò in fiamme stimolando gesti di grande solidarietà e supporto nella community del surf mondiale. Ho l’impressione che per chi ha già consolidato o sta guadagnando una posizione nel surf business, il meglio debba ancora venire. È certo che noi continueremo a comprare tavole, costi quel che costi. Almeno però adesso possiamo vederci più chiaro. Grazie Jaime.