Mentre sono a bordo del mio Volkswagen T1 del 1968 osservo un’onda che srotola solitaria proprio sotto alla scogliera al bordo della strada che sto percorrendo. Prendo il mio single fin, raggiungo il picco ed in men che non si dica sono già dentro ad un tubo. Abbracciato da una cresta d’acqua verde smeraldo e con il sole che mi illumina il viso scorgo una coppia di surfisti del posto che sta arrivando in line-up. “Bella fratello, solitamente in questo spot veniamo in pochi, ma è bellissimo condividere finalmente quest’onda remota con uno sconosciuto”. Dopo aver spaccato ed aver dimostrato quanto sono forte, i due ragazzi mi invitano ad una festa piena di belle ragazze dove si balla intorno ad un fuoco con una birra in mano. Tra me e me penso che ho proprio fatto bene a scappare dalla lussuosa villa dove i miei genitori milionari mi tenevano prigioniero.
Questa scenetta da film sembra scritta da ChatGPT che in effetti abbiamo provato a consultare per gioco, ma non è stato minimamente in grado di arrivare ad un tale livello di stereotipizzazione. Perché ci vuole una certa esperienza per mettere insieme tutte le banalità che si sprecano sulla vita da surfista.
Lo stereotipo da cinema
Esatto, quella descritta nell’introduzione di questo articolo è la classica scenetta da film dove il bellone di turno, stanco della vita da studente del college, scappa dalla famiglia ultra miliardaria alla ricerca di una vita vera. Oppure era quel film in cui la figlia del banchiere si innamorava dello scapestrato con i rasta e le ciabatte?
Non ricordo bene, ne abbiamo viste troppe di situazioni in cui il surf è stato vittima di appropriazioni abusive da parte delle industrie cinematografiche e di advertising. Da Baywatch fino alle pubblicità dei profumi o della Pepsi, lo stereotipo del surf ha traviato la concezione che il pubblico generalista ha di questo sport.
La realtà è ben diversa e ci presenta lo scontro culturale tra due mondi: Wannabe vs OG
L’esempio lampante è lo spirito di condivisione e fratellanza che i mass media hanno inculcato nelle menti degli spettatori. È una leggenda radicata in quello stile hippie con cui i surfisti venivano etichettati negli anni 60 e 70. Tra il localismo, la competitività ed il narcisismo non c’è più spazio, da tempo, per condivisione e benevolenza. Anzi: i gruppetti di surfisti sono spesso molto elitari e tutt’altro che inclusivi. Il surfista esperto vede di cattivo occhio il novizio che si avvicina alla disciplina e si indispettisce se qualcuno si appropria della sua cultura, di cui è morbosamente geloso. Il mondo del surf si divide ad oggi in due categorie:
- Wannabe Surfers – Quelli che iniziano a surfare durante un surfcamp e che non hanno il minimo interesse di ciò che accade nel mondo del surf. Pensano a divertirsi, a postare qualche foto sul social e si sentono surfisti già dopo aver preso la loro prima onda.
- Ecco loro sono quelli che scatenano le ire della seconda categoria di praticanti, gli OG. Vivono per la ricerca di onde vergini e solitarie, integralisti del metodo classico: lettura delle previsioni ad arte e centinaia di chilometri in macchina per inseguire un sogno. Niente foto, niente video, fuck social media.
Come siamo arrivati a questo? Colpa di chi ha raccontato la favoletta per business
Il potere del surf è da sempre la sua immagine. Tutti vorrebbero la vita di chi passa le giornate in costume e ciabatte, è sempre circondato da ragazzi e ragazze bellissimi, è ribelle e non ha preoccupazioni e responsabilità nella vita. Quest’immagine caricaturale è sfruttata da chi con il surf ha poco a che fare, aziende e persone che vorrebbero manipolare la nostra cultura per far quadrare i propri interessi commerciali. “Peace & Love Fratello”, ma nemmeno per sogno.
Questo continuo scimmiottare lo stile di vita del surf ha messo a dura prova la pazienza dei veri appassionati, che mal sopportano ormai l’avvicinarsi di un neofita. Il vecchio surfista anziché aprirsi e trasmettere quello che di positivo c’è in questo mondo, si è chiuso a riccio borbottando indispettito ed offeso. Le critiche nei confronti delle nuove generazioni sono molto più forti dei consigli. L’ego di chi è arrivato prima è comunque colpevole dello scontro culturale a cui si assiste oggi.
I tempi cambiano: meno fiesta, più workout
Il tempo scorre ed è difficile accettarlo. La tecnologia è in continuo sviluppo e in uno sport ricco di emotività come il surf non sempre il cambiamento è ben visto. Le tavole ne sono una dimostrazione ma anche le competizioni. Feste folli ed uno stile di vita sregolato non sono più la colonna sonora dello sport professionistico del surf. Una volta si iniziava davvero per ribellione, per essere diversi: il surfista era visto come un vagabondo scansafatiche. Oggi la maggior parte dei ragazzini che iniziano a surfare lo fanno con l’idea di diventare dei veri e propri sportivi. Per raggiungere il sogno di partecipare al campionato del mondo non basta più il talento naturale, ci vogliono sacrifici ed allenamento. Il livello medio è aumentato a dismisura, c’è sempre più competizione e la fetta di torta da spartire è sempre più piccola. L’era del genio e sregolatezza è ormai tramontata.
Torren Martyn vi ha ingannati
Ogni volta che vedete un amico con un mid-lenght o una tavola non convenzionale anche voi lo chiamate Torren Martyn, ammettetelo. Il biondo e stilosissimo surfista australiano ha contribuito a riportare in vita lo stereotipo del surfista vagabondo facendo sembrare tutto facile. La sua immagine viene sfruttata da ogni profilo social di lifestyle per promuovere la bella vita da viaggiatore, ma è davvero così?
Siamo desolati, ma abbiamo un altro stereotipo del surf da sfatare. Dietro ad ogni viaggio di Torren si celano progetti e sacrifici immensi. Tutto quello che vedete sugli schermi dei vostri smartphone è solo la punta dell’iceberg di una carriera che è nata combattendo e sgomitando nei circuiti delle gare di qualificazione regionali. Stanco dell’aspetto agonistico del surf, Martyn è stato molto bravo a cavalcare un’onda che prima di lui soltanto Rob Machado era riuscito a sostenere, ma lo ha fatto inizialmente da semi sconosciuto. I suoi viaggi in destinazioni inusuali hanno aperto la strada a molti altri surfer e content creator lanciando un vero e proprio trend: il surfista che gira il mondo in van accontentandosi di poco. Una scelta di vita che al giorno d’oggi veramente in pochi si possono permettere.