Un giorno di febbraio ricevo un messaggio vocale da Giovanni Evangelisti, che è a mio giudizio il più assiduo e presente cacciatore di onde mediterranee dopo l’inarrivabile Roby D’Amico. “Leo devo assolutamente parlarti, ho delle cose importanti da raccontare”. Conosco abbastanza Giovanni da sapere che non è uno a cui piace esporsi e mettersi in mostra sui social, ma in effetti avevo notato che in quel periodo stava scrivendo molto della sua esperienza in Portogallo.
Qualcosa è successo: “Mi è cambiata la vita Leo, dopo quei 10 giorni a Nazaré non sono più lo stesso surfista né soprattutto la persona che ero prima. Erano anni che cercavo un’onda più grossa per dimostrare qualcosa a me stesso, finalmente sono riuscito a dare sfogo a questo desiderio. Adesso vivo meglio, non ho più nulla da dimostrare. Sono in pace”. Il rischio che le emozioni prendano il sopravvento portando alla deriva il discorso è altissimo, quindi chiedo a Giova di riavvolgere il nastro e ripartire dall’inizio. Mi accontenta: “Questa storia ha inizio a Levanto circa 2 anni fa, quando nel parcheggio vedo un ragazzo che si prepara ad entrare con un gun”. Si chiama Valerio Rossi, è originario dell’Elba ma vive in Svizzera, dice di avere la “Sindrome di Nettuno”: in sostanza è un surfista comune che si è messo in testa di remare onde sempre più grandi e pesanti. E ci sta riuscendo. Ma Giovanni, stupito nel vedere qualcuno entrare col gun nel suo playground, chiede incuriosito: “E come mai entri col gun?”. Valerio risponde: “Vorrei prendere dimestichezza con questa tavola prima di portarla a Nazaré”.
“A Nazaré ho trovato una comunità inclusiva, nessuno nel surf mi aveva mai incoraggiato”
I nostri eroi entrano in confidenza, si scambiano i contatti, e Valerio Rossi vola effettivamente a Nazaré per passare un periodo di preparazione nel centro di alto rendimento della cittadina portoghese. Sono gli anni del covid, in Portogallo viene istituito un secondo stringente lockdown, Giovanni Evangelisti rimane tagliato fuori. Arriviamo allo scorso febbraio, il destino ha deciso che è ora: “Avevo prenotato dei biglietti aerei a caso, con largo anticipo, senza guardare le previsioni. Mi sono ritrovato a surfare 10 giorni di onde belle a Nazaré, che ai miei occhi sembrava tipo Levanto con gli stereoidi. Le condizioni erano perfette per iniziare a remare col gun, avevo tutto il necessario con me: impact vest, giubbotto gonfiabile. Era la mia prima volta a Nazaré ma ero pronto fisicamente e mentalmente, avevo lavorato tanto sulla respirazione”.
Lascio fluire i ricordi che Giovanni estrae a fatica dall’ippocampo, il centro di controllo della nostra memoria: “Quando sei imbottito di adrenalina ti concentri sul presente, ho immagini sfocate di quei momenti”. Voglio capire che aria si respira in acqua, in che modo saranno stati accolti i due ragazzi italiani? Valerio è presente in lineup già da un paio d’anni, ma Giovanni è un novellino. Di solito i surfisti che presidiano abitualmente uno spot non sono felici di veder arrivare facce nuove, e invece…“Non ho mai vissuto una comunità surfistica così inclusiva, che ti incoraggia e ti accoglie. Questo aspetto della mia esperienza a Nazaré mi ha fatto riflettere molto, perché se è vero che nessuno nel mio percorso nel surf in Italia mi ha mai apertamente ostacolato, è anche vero che nessuno mi ha mai aiutato o incitato a fare meglio o di più. Nella comunità del big wave riding ci si aiuta a vicenda”.
Paura, calma, euforia: sulle montagne russe delle emozioni non c’è spazio per il panico
Il grande giorno è per ironia della sorte un mercoledì, Giova mi confessa durante il podcast di essere caduto subito nel tranello dell’associazione di idee: “È il mio mercoledì da leoni”. 8 febbraio 2023. Torno indietro su Magicseaweed per dare un’occhiata alle previsioni: 2.1 metri a 16 secondi, direzione perfetta: ovest-nord-ovest, 292° di angolazione. MSW dice che ci saranno 3.5-5.5 metri di surf. Si fa sul serio. “Abbiamo girato intorno al faro (per entrare nei giorni col mare grosso si rema da Praia da Nazaré a Praia do Norte, lo spot sotto al faro) remando, ci sono voluti 30 o 40 minuti. Non avevamo l’assistenza privata di una moto d’acqua e se tornassi indietro invece la pagherei. Quando ho visto il primo picco, quello immediatamente sotto al faro, c’erano una decina di equipaggi a fare tow-in. Ho avuto paura. Ho deciso comunque di rimanere e raggiungere il secondo picco, dove le onde erano più abbordabili. A quel punto è scattato qualcosa in me: ero molto rilassato, la respirazione funzionava, ho trovato una calma bellissima”.
In tutta la session Giovanni Evangelisti riesce a prendere una sola onda, la definisce “una planata incredibile”, l’onda più grande e potente della sua vita: “Non ero abituato a sentire un’energia del genere sotto di me”. La sua avventura nel big wednesday finisce forzatamente in anticipo: “A Nazaré come in tutti i beach break del mondo, se vuoi prendere le onde devi rischiare di prendere qualche serie in testa. Ad un certo punto infatti è arrivato un set anomalo e mentre remavo verso largo pensavo a ventilarmi mantenendo la calma. Non avevo l’ansia di scappare, ero pronto all’apnea. In quelle situazioni se ti fai prendere dal panico può diventare brutta, ma se rimani tranquillo riesci a contenere i rischi. Col gun fai presto a percorrere 20/30 metri, sono tavole veramente veloci. Supero la prima onda in salita. Continuo a remare. Supero anche la seconda, stavolta c’è mancato poco. Capisco già di non poter superare la terza ma ho remato forte convinto di riuscire a passare sotto, tuffandomi a metà dell’onda. Io ce l’ho fatta a passare, la tavola no: si è spezzata in due. Joao Macedo mi ha subito tirato sulla moto d’acqua per riportarmi a riva”.
Una manciata di ore a mollo nell’oceano a cui Giovanni Evangelisti si preparava da una vita. Il groviglio di emozioni che ne sono derivate ha avuto una scia di qualche giorno, un post sbornia da adrenalina molto delicato da gestire. Giova ne parla più volte durante il podcast: “Ho vissuto un paio di giorni di estasi totale, non riuscivo a dormire. Grazie alla mia ragazza ed agli amici incredibili che ho affianco, sono riuscito ad incanalare quel mix di emozioni in un vortice di energia positiva”.
Considerazioni tecniche: più difficile un tubo su 2 metri a Varazze o remare 5 metri a Nazaré?
Ho fatto la stessa domanda ad Eugenio Barcelloni, il primo tra i comuni mortali cresciuti in Italia a cimentarsi nel big wave riding. Lo chiedo anche a Giovanni Evangelisti: ora che l’hai fatto, trovi sia tecnicamente più difficile uscire da un bel tubo oppure remare un’onda in quel Nazaré? “È difficile generalizzare ma se vogliamo provare a tirare una linea, diciamo che il 98% delle onde che ho preso a Nazaré sono state tecnicamente più facili di un tubo di 2 metri a Varazze. Col gun se non sei in super ritardo, se cerchi un take-off sicuro, sei preparato fisicamente…vai! Un tubo in contro picco richiede anni, anni e anni di esperienza”.