Matia Zulberti, nato nel 1982 a Sanremo, è il co-fondatore e main shaper di Happybay, piccola fabbrica (lui lo definisce un “atelier”, poi capirete perché) di tavole da surf a Somo. Siamo capitati per caso a cena insieme mentre eravamo in Cantabria a girare un progetto per Bear Surfboards, per cui Happybay produce alcune tavole. Matia ha una storia incredibile, di grande spessore umano e professionale.
“Ho iniziato a surfare tardi, avrò avuto 15 o 16 anni. Andavo a scuola ad Imperia e tutte le mattine da Sanremo in treno facevo la ferrovia vecchia, che passava lungomare e con vista su tutti gli spot. Quando c’erano le onde vedevo i francesi in acqua, sono stati i primi a surfare da noi, i local con cui abbiamo dovuto lottare”. Un’altra coincidenza porta Matia a conoscere un certo Simon, australiano di Perth e velista professionista di America’s Cup, che si era trasferito a Sanremo. Da buon australiano, Simon conosceva bene il surf: “Offriva lezioni di surf gratuite alla comunità locale, così ho imparato le basi”.
Il capitolo della contesa territoriale con i cugini francesi mi intriga, voglio saperne di più. Matia provvede: “Venivano da Nizza e Cannes principalmente, ma anche da Marsiglia per le swell epiche. La zona più calda era proprio Ventimiglia, sul confine c’era localismo pesante perché lì hai varie onde buone”. Lo shaper emigrato in Spagna ci svela anche un paio di chicche: “A Villefranche c’è un’onda che col maestrale è veramente seria, in certi casi da entrare col gun. Anche nelle isole davanti a Cannes ci sono dei point assurdi, roba esagerata, da Maldive. Poi si arriva sulla barca, è molto suggestivo. Quegli spot si attivano col mare da sud quindi anche in Liguria è buono, nessuno si sposta”.
Nella galleria fotografica Camilla Michetti e Alessandro Demartini: entrambi surfano con longboard Happybay shapati da Matia.
Matia Zulberti vive da quasi 20 anni a Somo, in Cantabria. Il motivo per cui si è trovato lì nel 1998 è divertente: “Ho vinto un concorso di scultura a scuola e con quei soldi ho fatto il mio primo viaggio in oceano. Tutti parlavano di Hossegor e Biarritz ai tempi, ma eravamo pischelletti con 4 lire in tasca. Arrivati nelle Landes ci rendemmo conto che non faceva per noi. Quindi ci spostiamo in Spagna, ma nei paesi baschi ancora gli standard erano troppo alti. Proseguiamo verso la Cantabria e troviamo il paradiso: spot deserti fino alle 11 e costo della vita contenuto. Siamo andati tutte le estati, una volta salendo in autostop da Sanremo, finché nel 2004 ho deciso di restare”. Qui comincia il percorso professionale nel surf di Matia, che fino a quel momento riparava giusto le tavole per sé e per gli amici. In Italia lavorava come falegname, decide di licenziarsi e provare l’avventura. La fortuna gli sorride: “Il mio vicino di casa lavorava da Full&Cas, una delle fabbriche di tavole da surf più grande d’Europa. Cercavano un garzone di bottega per dare una mano, non esitai un secondo”.
Full&Cas fabbrica più di 3000 tavole l’anno con una penetrazione nel mercato europeo molto importante, soprattutto tra beginners e weekend warriors. Full&Cas molto leva sul prezzo, le tavole che escono col brand proprietario sono super economiche (430€ per una tavoletta). Capirete che per fare certi numeri (producono anche per terzi) è necessario lavorare in catena di montaggio. Spiega Matia: “A volte può essere alienante stare lì dentro se non hai la fortuna di poter variare, perché io ad esempio sapevo fare tutti i processi. Il carteggiatore (che lima la resina in eccesso e fa le finiture) sta dentro la sua stanza a carteggiare 6 tavole al giorno, fa sempre la stessa cosa. È lì con le sue cuffie, da solo…è pesante”.
La vita di Matia improvvisamente precipita: “Nel 2020 hanno diagnosticato un cancro a mio figlio di 3 anni e mezzo. La vita mi è andata a puttane”. Il centro dov’è in cura il bambino è a Bilbao, ad un’ora di macchina da Somo. Matia molla tutto e si dedica anima e corpo all’urgente questione. Il rapporto lavorativo e soprattutto personale con Full&Cass termina nel peggiore dei modi: “Li consideravo una famiglia. Sono spariti nel momento del bisogno, rendendomi la vita impossibile. Mi sono fatto licenziare per ripartire con le mie forze”. E qui finalmente entra in scena Happybay: “Erano anni che guardavo sognante questo capannone a Somo, che sta su una collinetta sopra una rotonda, in una posizione strategica. Con un mio amico l’abbia preso in società per aprire la nostra fabbrica di tavole da surf”. Gli chiedo il motivo del nome, provare ad essere felici nelle disgrazie non è da tutti: “Avevo bisogno di pensare positivo, il nome Happybay era di buon auspicio”.
Un salto nel vuoto obbligato dalle circostanze avverse, Matia ha saputo trovare nelle difficoltà la forza di reagire. Il duro lavoro lo sta premiando: l’estate del 2022, la prima estate intera di Happybay, i ragazzi hanno venduto oltre 200 tavole. Nella deliziosa fabbrica di Somo si producono principalmente longboard e tavole alternative come mid-lenght, egg e fish. Matia ha una bella visione al riguardo: “Le tavole alternative forse sono una moda ma è anche vero che molta gente sta capendo che con un po’ più di larghezza, spessore e galleggiabilità prende più onde ed esce dall’acqua col sorriso. Te lo dico perché ci sono passato: quando ero pischello pensavo di diventare Kelly Slater, ma dopo un viaggio in Brasile con la nazionale mi sono messo seriamente in dubbio. Avevamo più adesivi noi sulle tavole che Gabriel Medina e c’erano ragazzini con le tavole marce che ci saltavano in testa. Con la short uscivo incazzato perché avevo preso 3 onde, mi riguardavo in video e dicevo: minchia vado al contrario”.
Nessuno ti paga per surfare: se esci dall’acqua incazzato qualcosa non va. I pischelletti devono fare motocross, a me piace passeggiare con l’Harley