Artista, imprenditrice, surfista. Natalia Resmini è una di quelle persone con cui parleresti per ore. Di cultura classica e di cultura pop, della storia dei tanti popoli con cui è entrata in contatto nel corso della sua vita, del variopinto ambiente del surf che smonta con un’abilità dialettica disarmante: “Da quando il surf è diventato una moda, ho amici surfisti più fashion victim delle fashion victim. Sì ma non perché vestano outfit particolari, no no, qui il problema è avere sempre l’ultima pinna sviluppata dall’atleta x, il leash tecnologico, la muta in collaborazione con il brand giapponese, la ricerca della fighettata che ti fa sentire meglio, diverso dagli altri.. È una deriva hispter. E i longboarder sono pure peggio di quelli che vanno in tavoletta”. Magnifico. I seguaci della tribù degli stilosi come la chiamiamo io e Tommaso, i filosofi dell’hang-ten che gravitano intorno al circo patinato dei surf festival, rappresentati qui sotto dai disegni di Natalia.
E quindi questa è Natalia, la nostra amica Nati: acuta e pungente. L’intervista è di Aprile, quando per uno strano caso Tommaso era a Roma con me. Assisterete quindi al grande ritorno del co-conduttore con cui ho registrato le prime puntate del Tuttologic Surf Podcast, risalenti a primavera 2021. Natalia Resmini ci risponde dal Marocco, la sua seconda casa, dove ha trascorso anche buona parte degli ultimi mesi: “Ad Imsouane sono venuta 15 anni fa per la prima volta, nella baia srotola una delle destre più lunghe del mondo, è il paradiso degli amanti del longboard come me. Le persone sono fantastiche, hanno una dolcezza e un rispetto d’altri tempi. Infatti vorrei cogliere l’occasione per sfatare il mito dell’Islam violento con le donne: qui in Marocco mi sento più sicura che a Milano. Chiaramente il Marocco è un po’ la Svizzera dell’Africa, parliamo di un paese civile e democratico, ma comunque con me che qui vengo da tempo, che contribuisco a far girare il business locale, che ormai, peraltro, non sono più una ragazzina, i marocchini sono sempre stati super rispettosi”. Chiedo a Natalia se nei suoi mille giri intorno al globo si sia mai sentita minacciata. Mi risponde senza pensarci troppo: “In Brasile me la sono passata male almeno un paio di volte. Mi hanno derubata e un’altra volta, questa fa ridere, un vecchietto è uscito da un cespuglio con un mitra per spaventarmi, ma per fortuna mi sono accorta che l’arma era finta. In Sud America bisogna stare all’occhio”.
Nata a Piacenza ma di sangue per metà ligure, Natalia Resmini ha incontrato il surf in età adolescenziale: “Andavo al mare a Ventimiglia (come Matia, uno degli ultimi ospiti del podcast) e per caso mi trovai a frequentare dei ragazzi che facevano surf già 25 anni fa, era ancora un’epoca pionieristica”. Dopo gli studi intraprende la carriera artistica e come illustratrice lavora su commissione per aziende dell’editoria e della moda. A cena una volta mi ha raccontato di aver avuto una clamorosa impennata di followers su Instagram quando qualche anno fa Kim Kardashian ha repostato un ritratto che le aveva fatto Natalia: “Ho preso decine di migliaia di followers in pochissimo tempo, è stato un boom pazzesco. Anche per quello credo che mi abbiano dato la spunta blu”. Natalia azzecca anche la mossa successiva, dimostrando di avere grande fiuto. Intuisce in anticipo il trend dei murales e si specializza nella realizzazione di opere d’arte murali, un pretesto perfetto per viaggiare ed imprimere la sua firma in alberghi, ristoranti e ville di tutto il mondo. Preferibilmente in prossimità dell’oceano: “L’esperienza lavorativa si è sempre incrociata con l’amore per il surf, ho avuto la fortuna di creare un connubio tra le due cose. Dico di esser stata fortunata perché a volte se vai troppo dietro al surf rischi di perdere la bussola”.
Natalia Resmini ci racconta di non surfare quasi più in Italia, quando torna è sempre impegnata per lavoro. Come darle torto d’altronde? Un paio di mesi in Costa Rica, altri due in Marocco e passa la paura. Una vita con i vestiti in valigia ed un biglietto nel wallet dell’iPhone. Mai sola: “Mi muovo per conto mio ma ormai ho talmente tanti amici in giro per il mondo che non mi sento mai sola, mi piace fare famiglia anche lontano da casa”. E in mare? Può capitare che una donna si senta sola in lineup? Più facile, forse, che per un uomo. Lo dico a malincuore. Invece Nati mi smentisce: “Ma Leo sai che in Costa Rica l’anno scorso sono rimasta scioccata? In acqua c’erano più donne che uomini, dalle bambine alle signore americane in pensione, donne di 60, 70 anni. Anche qui in Marocco ci sono tantissime ragazze in acqua, non sento più di essere in minoranza”. Questa è una bellissima testimonianza, in controtendenza con la statistica globale secondo cui su 23 milioni di surfisti nel mondo, solo il 19% percento sono di genere femminile.
In Italia come racconta anche Tommy la situazione è diversa. Spesso anche voi giustamente ci chiedete perché non pubblichiamo foto di ragazze che surfano nel Mediterraneo, sul sito o su AQVA, ma la verità è che capita veramente di rado di incrociare delle surfiste in acqua. Aggiunge Tommaso: “Le poche volte che c’è una ragazza in acqua mentre scatto, purtroppo non prende le onde. Perché non ha un livello sufficiente, perché gli altri sono aggressivi e prepotenti, perché quel giorno forse non era in forma. Non so perché. Il risultato però lo conosco: non riusciamo a fare materiale pubblicabile”.
Le contaminazioni tra moda e surf sono sempre più frequenti e avendo anche Tommaso con noi, noto appassionato della materia, ne approfitto per chiedere a Nati se esistano a suo giudizio reali motivi per associare surfing e fashion. Mi risponde così: “Beh intanto c’è da dire che sia la moda che il surf sono delle forme di espressione. Poi il bello che oggettivamente si può trarre dal gesto atletico, dagli interpreti e dai paesaggi del surf è sempre stato ambito dalle case di moda”. Le fa da eco Tommy, che aggiunge: “Ragazzi parliamoci chiaro: il surfista di per sé è bello, che sia maschio o femmina, nella maggior parte dei casi fa figo, è cool. La moda è sempre stata tesa verso un’ideale di bellezza che si può ritrovare facilmente nel surf”. Finché non si inciampa nei cliché, come abbiamo raccontato qui.
Dalla moda passiamo alla trap, genere musicale per cui Natalia sorprendentemente nutre una particolare passione: “Rapper e trapper recitano dei mantra motivazionali, a me quel mood gasa. Urlare “ce l’ho fatta”, “sono ricco” e quelle cose lì è una forma di egocentrismo, però lo trovo motivante. La generazione del 2016 ha sfornato diversi talenti come Ernia e Tedua, ragazzi che sanno anche usare una lingua difficilissima come l’italiano in maniera virtuosa”. Ci vorrebbe un video di surf italiano con musica rap e trap italiana. Roby D’Amico è stato un precursore, sicuramente apprezzerebbe. Potremmo rifarlo, che ne dite?
Tutta la bella conversazione con Natalia Resmini, illustratrice e surfista, è disponibile su Spotify e YouTube.