di Luca Filidei
Lo sappiamo, il mondo (o il bello) dello sport è pieno di storie all’american dream, con underdog capaci di sovvertire i pronostici e atleti che riescono a ottenere, anche solo per un istante, l’attenzione di tutto e tutti. Lo si vede – certo, solo saltuariamente – in molte discipline sportive, surf compreso. Wildcard che vincono tappe del Championship Tour (vero Vahiné Fierro?) e surfer semisconosciuti che partecipano alle Olimpiadi: sì, è successo e succederà davvero. Poi però ci sono quelle storie che vanno persino oltre. Storie uniche, personali. Storie che incoraggiano e stimolano riflessioni. Quella del ventiquattrenne Paul “Chow” Sampson è sicuramente tra queste. Non so se ne avete già sentito parlare, difficile, eppure la sua bio è già da libro.
Cape Town Pro: una cavalcata da film, Paul Sampson si rivela al mondo del surf.
Marzo 2024. Ci troviamo in Sud Africa, il Paese che per ora è surfisticamente collegato ai due “bruh” Matthew McGillivray e Jordy Smith. Non ci sarebbe molto da raccontare se non una tappa della categoria QS, il Cape Town Surf Pro con un premio di 1000 punti e 800 dollari. Le attenzioni poi sono tutte rivolte verso Jordy Maree e Adin Masencamp, senza dimenticare il giovane talento Luke Thompson, un classe 2004 che promette davvero bene.
Ovviamente, nessuno dei tre partecipa al primo round. Jordy, Adin e Luke avanzano direttamente al round of 32, lasciando i surfer con il seed più basso a sfiancarsi in un primo turno da otto heat. Tra questi c’è anche una wildcard che quasi nessuno conosce: Paul Sampson, un regular che l’anno prima non aveva nemmeno partecipato a un singolo contest QS. Certo, Chow si era fatto notare in diverse gare del circuito Surfing South Africa ma se la WSL Regional Director Tasha Mentasti, campionessa sudafricana di surf (trovate la sua intervista a fine articolo), non lo avesse adocchiato facendolo rientrare nel “talent programme” della lega la sua presenza sarebbe stata praticamente impossibile. Il ragazzo però sembra crederci, quasi volesse ripagare la fiducia di Tasha con una prestazione di certo non da wildcard. Il primo turno lo supera (per molti a sorpresa) abbastanza agilmente. Nel successivo arriva secondo ma in una heat da quattro surfer accede ai quarti. Lì ad aspettarlo c’è Adin Masencamp (che abbiamo intervistato qui), uno dei surfisti più promettenti, eppure Paul gli strappa il primo posto con lo score di 15.10. E in semifinale la situazione si ripete: Sampson primo, Masencamp secondo. Non può essere un caso, comincia a dire qualcuno. Pensate che sul sito WSL i fan picks davano Adin a 80 e Paul a 7. Che qualcosa stia accadendo?
In ogni caso arriva la finale che Chow condivide con Brad Scott, il gioiellino Luke Thompson e di nuovo Masencamp. Le onde, “small but fun”, sono numerose come nella buona tradizione sudafricana. Saranno 26 i punteggi alla fine. E quasi la metà sono di Paul, che di colpo è diventato il preferito dai fan. Sai che forse…La leadership nella heat cambia più e più volte. Sampson compie un air under priority, ma negli ultimi cinque minuti tutti i surfer cercano di trovare la migliore opportunità, compreso Adin che guadagna un 7.83. Favola finita? Probabile. Se non fosse che Chow trova un’onda che interpreta perfettamente. Due turn rapidissimi e un altro air come manovra di chiusura. Ora tutti ad aspettare i giudici. Si avverte una grande tensione. Fino a quando, dopo un’attesa estenuante, lo score arriva: uno spettacolare 9.00.
Paul Sampson, il surfer venuto dal nulla, ha incredibilmente vinto il Cape Town Surf Pro. E con un trionfo così potremmo persino concludere l’articolo. Ma poi ci sono pure quelle parole post-heat che promuovono un’ulteriore riflessione: “Ad essere onesti, ora sto pensando di qualificarmi per le CS. Prima facevo le competizioni solo per divertirmi, ma adesso è questo ciò che voglio davvero fare. È stato difficile perché prima non avevo le opportunità, ma ora che posso fare i QS e qualificarmi voglio spingere fino in fondo”. Come commentare (e interpretare) queste frasi? In effetti è tutta una questione di opportunità. Paul, con il grande risultato a Long Beach, in fondo lo conferma: bisogna avere grandi capacità per superare cinque turni rispondendo onda su onda ad atleti con un’esperienza decisamente migliore. La sua strategia si è rivelata ottima. Ha dimostrato di saper sfruttare onde senza la priorità, un’abilità alla Yago Dora. Ma la lineup di Cape Town non è Teahupo’o, non “basta” essere un local per sfruttare la perfetta posizione da take-off su una heat da nove o dieci onde e battere un super pro. Qui la qualità di Sampson era evidente in molti aspetti – le manovre aeree su tutto –, e quindi una domanda: possibile che nessuno lo conoscesse?
Da orfano all’adozione dei Chudleigh e il coaching di Collier, pioniere del surf sudafricano. La community si stringe intorno a Paul.
Per rispondere facciamo un passo indietro e scopriamo qualcosa sul suo passato. Del resto Paul si è fatto trovare pronto ed è lì che la sua storia prende davvero il volo, che il suo american dream assume i contorni di una possibile realtà. Sì perché Sampson non proviene certo da un’infanzia agiata, anzi: tutto il contrario. Pensando ai surfer del CT mi viene in mente quanto siano collegati alle proprie famiglie, a quanto la vicinanza di parenti e amici sia importante per affrontare contest da una parte all’altra del mondo. In passato Courtney Conlogue veniva accompagnata dalla madre, una presenza fissa. E quanto sono uniti i San Clemente boys? Paul al contrario ha iniziato solo. Di suo padre, proveniente dallo Zimbabwe, ha perso le tracce da bambino. Sua madre, che si è fatta in quattro per mantenere lui e il suo fratellastro lavorando come custode del parcheggio del Sunrise Circle Market, è mancata tempo fa. Un distacco lacerante, incolmabile, che Chow ha forse cercato di elaborare attraverso il surf. La sua passione è nata sulle lineup di Muizenberg quando a circa sei anni e mezzo partecipò alla Palama Metsi Surfing Development Academy, un programma di sviluppo locale. Il contesto però era tragico. Arrivavano da Kimberley, i problemi economici erano infiniti e non avevano un’abitazione. Vivevano per strada, lungo gli strapiombi, persino in una grotta. Una vita dura che purtroppo avrebbe lasciato le sue ferite. Rimasto orfano iniziò a spostarsi da Lavender Hill a Capricorn: di lui si prendevano cura la famiglia del patrigno e una donna del posto. Poi però i Chudleigh, i gestori della Surf Shack Surfschool di Muizenberg, esattamente come nel film The Blind Side, decisero di aiutare quel ragazzino prendendolo in affido: è il momento della svolta. Grazie a un ambiente il più possibile sereno Sampson dimostra le sue qualità e accede ai Grom Games, facendo parte delle squadre under-10 e under-11. “Mi faceva sentire me stesso, come se potessi davvero esprimermi per quello che sono”, ricorda ora Paul del surf di quel periodo. Da lì la strada per le competizioni si apre leggermente. Contest locali soprattutto, con un solo viaggio in Sri Lanka che Sampson ripaga lavorando in un surf camp della zona. In Sudafrica comincia poi a lavorare per la Cass Collier Surf Foundation, una possibilità che consente l’incrocio di due destini: il suo e quello di Cassiem Collier, pioniere ed ex CT dal 1989 al 1991 che accetterà di diventare il suo coach. Ora infatti c’è Cass al suo angolo, ed ecco arrivare la splendida vittoria a Long Beach, seguita dal nono posto al SA Open of Surfing e il recentissimo terzo all’eThekwini Surf Pro. Il ranking dimostra la sua crescita. E le CS adesso sono realtà. Paul ha già ottenuto il pass per accedere alla seconda serie WSL, ma allora perché non era nei draw di Snapper Rock e Sydney? Per la stessa ragione per cui quasi nessuno lo conosceva: la mancanza di soldi.
Una raccolta fondi per partecipare alle Challenger Series.
Partecipare a tappe così lontane senza sponsor e aiuti concreti è un grande problema, quasi insormontabile. Senza contare la differenza economica tra rand, la moneta sudafricana, e dollari ed euro. È per questo che Paul ha avviato una raccolta fondi qui. Grazie agli aiuti di persone comuni potrebbe infatti partecipare alle tappe CS in USA, Portogallo e Brasile: il sogno di una vita. A luglio intanto è iscritto al draw del Ballito Pro, il suo esordio nelle Challenger Series. Difficile non tifare per lui. E quindi forza Paul: prendi un’onda e vola come sai fare tu. Nelson Mandela sosteneva che “It always seems impossible until it’s done”. Sampson potrebbe essere la persona giusta. Perché sarebbe bello, anzi bellissimo, vederlo stupire pure a quei livelli. Anche se “stupire” forse non è il termine ideale. Dave Chudleigh non lo sarebbe. Cassiem Collier e Tasha Mentasti nemmeno. E prima di tutti sua madre. Il talento c’era anche prima. Loro lo avevano capito fin da subito.
L’intervista con Tasha Mentasti, WSL Regional Director del Sudafrica.
Ma l’articolo, un po’ a sorpresa, non è concluso. Come anticipato prima, la storia di Sampson è talmente particolare da promuovere spontaneamente un’ulteriore analisi, che qui abbiamo realizzato grazie all’intervista con la WSL Regional Director Tasha Mentasti, sicuramente una delle prime persone ad accorgersi delle capacità di Paul.
Allora Tasha, tu conosci Paul da quando aveva dieci anni, lo stesso periodo in cui perse sua madre: una situazione davvero drammatica. So che lui partecipava ai Western Province Surfing’s Grom ed era entrato nella squadra under 10 e under 11. È stato effettivamente quello il primo passo di Paul all’interno del surf agonistico? E come il Sudafrica e la WSL aiutano l’ascesa di giovani talenti privi di un grande sostegno finanziario?
Sì, ho potuto assistere all’ingresso di Paul nel mondo del surf agonistico fin da giovanissimo. Questo grazie al mio precedente coinvolgimento con la SSA (Surfing South Africa) in qualità di Operations Manager. Lui ha iniziato a praticare surf grazie alla famiglia Chudleigh. Loro gestivano un programma di sensibilizzazione al surf chiamato Surf Shack che ha sostenuto Paul nei primi anni in questo sport. La federazione nazionale sudafricana del surf ha poi un programma di sviluppo che aiuta talenti emergenti a competere negli eventi amatoriali organizzati dalla SSA. La WSL Africa è invece l’organo di governo professionale del surf, e collabora con le federazioni nazionali africane per contribuire a sostenere lo sviluppo di questo sport. Un esempio è la rinuncia a delle quote di iscrizione agli eventi della categoria WSL Africa e l’offerta di wildcard per gli stessi contest (esattamente come accaduto a Sampson, ndr).
Tu hai scelto Paul come wildcard per il Cape Town Surf Pro. La sua vittoria in quella gara ha cambiato tutto, ma nei primi due appuntamenti del CS (Snapper e Sidney) non ha purtroppo potuto partecipare. So che la sua campagna è utile per i prossimi contest in USA, Portogallo e Brasile, e per questo ti chiedo se in futuro la situazione potrebbe essere migliorata.
La WSL Africa ha una politica di sviluppo interno che offre delle wildcard agli atleti riconosciuti come talenti dai distretti di surf locali affiliati alla NF – SSA. WSL Africa collabora quindi direttamente con la NF e con i territori in cui si svolgono i vari contest per contribuire alla crescita di questo sport nella regione. Purtroppo, essendo la WSL Africa una lega professionistica, non possiamo sostenere finanziariamente le campagne personali degli atleti che competono nelle QS e CS.
La storia di Sampson è davvero fonte di ispirazione. Soprattutto per i ragazzi di tutto il mondo che vivono in situazioni problematiche. Secondo te in Sudafrica c’è già qualche giovane talento che crede nel “I can achieve that goal” grazie a Paul?
Guarda, c’è così tanto talento naturale in Africa, non solo in Sudafrica. Grazie a piattaforme come la WSL e a pubblicazioni come Tuttologic che condividono queste storie, vedremo molti altri futuri campioni provenire da questo Paese.
Supporta Paul Sampson nella sua avventura come concorrente delle Challenger Series.