di Luca Filidei
Scrivere un articolo sulla conclusione della stagione WSL, almeno a livello di Championship Tour, non è mai semplice, e questa volta non lo è certamente da meno. I temi possono essere migliaia, esattamente come l’orda di dude che ha affollato una manciata di giorni fa la spiaggia di Lower Trestles, alias The Original Search Location. La gente accorreva come set di onde durante una grande mareggiata, e quasi quasi veniva da guardare verso la lineup aspettandosi la “Great Swell of ‘74” o la “50 year storm”. Leroy, Bodhi: dove siete?
No, in realtà sapevamo tutti che le previsioni non fossero epico. Caroline Marks, qui campionessa l’anno scorso, lo avrebbe provato sulla sua stessa pelle durante il title match 3, aspettando disperatamente un’onda in un oceano completamente flat. E in effetti alla partenza delle Finals tra il pubblico c’era anche qualche grom non accompagnato e dal tono lamentoso, ma poi ecco Tati che spacca ogni singola onda che prende. Sulla spiaggia il tifo si accende, la Brazilian Storm al femminile, mentre Molly Picklum incassa tutto quello che c’è da incassare. Non era giornata per l’australiana.
Tifo, imprevedibilità, emozioni costanti: le WSL Finals sono ciò che mancava al surf competitivo?
Ma giriamo la telecamera per inquadrare innanzitutto il pubblico, perché il primo (grande) spettacolo delle Finals è stato proprio quello. La WSL ha organizzato tutto alla perfezione e non poteva essere altrimenti. È infarcita di persone che provengono da NBA e NFL, l’ambizione è quella di diventare una lega pro di altissimo livello. I soldi e la solidità ci sono grazie a Dirk Ziff, il cui patrimonio è aumentato vertiginosamente dal 2022 (casualità?). E poi è arrivato anche lo sponsor automotive Lexus. Insomma, da questo punto di vista le Finals hanno fatto bene, ma osservando la miriade di fotografi, gli eroici cercatori di spazio per ombrelloni, sedie e coccodrilli gonfiabili, gli urlanti fan di “EE-TA-LO” ringalluzziti da tonnellate di energy drink Red Bull e il pogo che si è accesso manco fossimo in un concerto estivo, viene spontaneo dire che Erik Logan qualche ragione ce l’aveva.
Il format (che comunque è accettato da ogni atleta) sarà anche migliorabile, eppure l’ex CEO è riuscito in qualcosa di parecchio difficile. Creare a piacimento della WSL il pathos necessario, ad esempio. Lo stesso metodo utilizzato nei playoffs NASCAR. Con quali risultati? Non c’è più il John John Florence che diventa Campione del Mondo con un evento di anticipo come nel 2016 in Portogallo. Qui è la WSL a decidere spazio (lo spot) e il tempo (quando). E la possibilità di avere ben dieci contendenti al titolo crea qualcosa di unico come il tifo, espresso in ogni sua straordinaria declinazione. Riunirsi per incitare qualcuno è il perfetto incipit di una vera community, ed è impossibile guardare le Finals senza restare entusiasmati dai cori, dalle urla e dalle esclamazioni provenienti da quell’iconica spiaggia.
Rientra in tutto questo anche il merchandising, che al di là del buon ritorno economico, ha colorato Lower Trestles come mai prima d’ora. Le t-shirt orange con scritto “Vai Tati”, i “99” per Brisa, i “Love Everything, Become Everything” che accompagnavano il faccione di Griff e poi la maglietta di O’Neil per Caity in versione karateka: “Oside In The House”. Strepitosa. C’è stato anche l’eccellente marketing organizzato da Florence Marine X che qualcuno sostiene troppo vicino alla lega, ma in fondo mi viene da dire: chi se ne importa. Su quella spiaggia la gente pensava solo a Italo in versione “Machine Air” (saranno 19 a fine contest e 3 su una singola onda), al perfetto backhand di Caroline Marks, alla sublime tecnica di Ethan Ewing che aveva Mick Fanning al suo angolo. La concentrazione insomma era tutta rivolta ai migliori surfisti del mondo, nemmeno lo sferragliare dei treni alle loro spalle riusciva a distoglierli dallo spettacolo in acqua.
La scalata di Ferreira: troppa energia per gli australiani meditativi.
Perché le condizioni non saranno state epiche ma Madre Natura, come ha detto Strider Wasilewski, ci ha comunque regalato un gran bel contest. I vari split screen a seguire due surfer sulla stessa onda ne sono una prova. Così come Italo che prende una destra e poi, tra una curva e l’altra, si volta a guardare Griff che prende l’onda successiva. E infine, cosa dire dello scontro tra Robbo e Ferreira? Sì, non inserisco le virgolette perché si è trattato proprio di questo. Chi ha seguito la diretta lo sa bene. Jack, come Molly, non è mai sembrato davvero dentro questo evento. Ha sofferto la quantità del brasiliano. Il suo essere un “energico selvaggio”, parole di Taj Barrow. Jack che è tanto conosciuto nel Tour per le sue capacità meditative ma anche per saper trovare le onde migliori (la famosa connection con l’oceano), a Trestles è andato in completo cortocircuito.
I motivi? Possono essere tanti. Lo spot. L’atmosfera. L’avversario che non avrebbe voluto trovare. Aggiungiamoci pure il caldo e le presentazioni in stile Michael Buffer da parte di Chris Cote. No, non sto scherzando. Lo si è visto fin da subito che Robbo stava facendo qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare. Il problema è stato Ewing. La qualità di Ethan aveva perso contro i numeri di Italo. 5 onde contro 10. E poi c’erano quegli air che il brasiliano continuava a trovare grazie alla sua velocità, manco fosse Martin “Pottz” Potter negli anni Ottanta. Come arginare Italo? Si sarà chiesto Jack. La risposta del numero 72 è stata duplice. Sfidalo psicologicamente, non restare “ice” come Ethan. E poi sorprendilo cambiando il tuo stile in acqua.
Di questo non ha praticamente funzionato nulla. Prima la corsa per arrivare nella lineup, poi quella paddle battle spalla contro spalla ripresa decine di volte dalla diretta. Esaltante, vero. Puro entertainment. Ma al contempo segno evidente delle difficoltà di Jack, che perde comunque la priorità e poi tenta di fare l’Italo. Si concentra più sul “who am I?” che sul “who am I not?”. Un errore che non farà John John Florence, talmente concentrato su sé stesso da non guardare (su consiglio del saggio Ross Williams?) nessuna heat di Ferreira. Il surfista di Baia Formosa da parte sua merita però un grande elogio. Cinque heat in un solo giorno, praticamente come in un contest intero. Senza contare le 45 onde prese. A dispetto di ciò, i fan picks lo davano in vantaggio contro ogni avversario, compreso Florence (62 per cento contro 38), fregandosene delle energie che potevano iniziare a scarseggiare.
Italo in effetti sembrava nel mood giusto, era nel suo “hammer time” e heat dopo heat acquisiva sempre più convinzione. L’affaticamento non sembrava un problema. Gli score del resto hanno dato ragione ai fan, con Ferreira che ha ottenuto un 15.33 e un 16.30 nei due title match, terzo e primo miglior punteggio personale durante le Finals. E quindi, cos’è andato storto? Semplicemente quel “who am I not” che John John Florence ha rispettato come un Marine della vicina Camp Pendleton.
JJF in modalità Marine spegne il fuoco di Italo.
Italo da parte sua ha continuato a fare l’Italo. Si è caricato a più non posso prendendo a pugni solo lui sa quante cose. Lo sguardo quasi assente. In attesa della presentazione di Chris Cote riguardava rapidamente i suoi air. Poi di nuovo le cuffione Vivo in testa: era tempo di ascoltare qualche altra playlist. Con questa routine è riuscito a battere un eccellente Colapinto, poi a rispondere alle domande post-heat di AJ McCord con fare quasi timido, e infine a infilarsi di nuovo nei panni di Super Italo, il bad boy per eccellenza. Molti lo davano per vincente. E mi riferisco anche agli specialisti. O meglio, la maggior parte di loro considerava Griff come favorito per via dell’home spot, ma quando Ferreira è riuscito a superarlo (quasi) tutti a dire che il secondo titolo per il brasiliano si avvicinava. Era realtà in fondo.
Ma al di là della fatica, dello stress mentale e dell’aver surfato cinque heat in un solo giorno contro le due di Florence, bisognava fare i conti proprio con lui, il numero 12 in maglia gialla. Carissa Moore aveva definito la stagione di Caity e John John come dominante. E in effetti come darle torto? Per Florence quattro finali (3 consecutive), 26 heat vinte e un heat score medio di 14.21. Numeri fuori da ogni logica, soprattutto per un surfer che aveva vinto l’ultimo titolo nel 2017. All’epoca sembrava inarrestabile, l’unico reale avversario di Gabe Medina. Poi però due infortuni pesanti, tanto che in una delle ultime interviste John ha rilevato tutte le incertezze di quel lungo periodo: “Cosa ci faccio ancora qui?”, era queste una delle tante domande che si poneva tra sé e sé.
Guardandosi dentro il ritiro era comunque una scelta difficile, non solo per l’età. In fondo era lui che aveva surfato Pipe con Kelly a nove anni. Era lui che aveva vinto il titolo NSSA a undici. Ed era sempre lui che a tredici anni competeva per il prestigioso Triple Crown. Nah, meglio pensare ad altro. Beh, quell’altro non era che Lower Trestles, una delle scenografie di Kelly Slater in Black and White ma soprattutto del suo terzo titolo mondiale, conquistato esattamente vent’anni dopo il terzo dell’indimenticato Andy Irons. Con queste motivazioni c’era poco da fare. E quel big layback eseguito alla perfezione su una destra splendente ne è la prova. La firma di un super campione che resterà per sempre impressa nella storia del surf.
Caity Simmers in rimonta col surf più bello visto alle WSL Finals tra tutti, donne e uomini.
La stessa che ha realizzato Caity Simmers nella finale femminile. In questo caso Caroline Marks, che ha surfato più di tutti a Lowers, le aveva strappato il primo match con un super 9 buzzer beater (per Jake Marshall era persino un 10). Secondo titolo per la surfista di Boca Raton? Un back-to-back da sogno? Per alcuni personaggi laggiù sulla spiaggia sì, tanto da sventolare la bandiera della Florida come se fossimo al tempo della Guerra di secessione americana. In effetti la sceneggiatura sembrava già scritta. Come un deja-vu di quello che è successo a Carissa per due anni di fila. Stagione dominante da tre vittorie e poi Caroline Marks che alza la coppa dedicata a Duke Kahanamoku.
Caity però non ci sta e dimostra di essere la nuova generazione del surf. Timida ma con un carattere da punk-rock. La seconda heat è una mazzata da cui la surfista della Florida non si riprenderà più. Prima un 9.17. Poi un 9.20. In combo senza neanche aver iniziato a remare. Simmers dimostra tutta la sua fluidità, la capacità di variare ad ogni curva, e poi quella connessione con l’onda che dà l’impressione di creare qualcosa di più grande, persino aulico, rispetto alla somma delle parti. Un grazie a Borst Design, ma soprattutto a questa fantastica regina dell’oceano, la più giovane Campionessa del Mondo di sempre.
Sì, quanti temi in quest’anno di Championship Tour. Il ritiro (?) di Kelly. La terza di JJ(J)F. La prima di Caity. Inseriamo anche Erin Brooks, vittoriosa a Fiji. Le Finals nel frattempo se ne vanno da Lower Trestles. Nel 2025 tutti nel bel mezzo del Pacifico. Lì le carte potranno essere scombinate, Jack non sarà così perso. Ma ora questa spiaggia californiana dove tutto ebbe inizio già un po’ mi manca. Il tifo incessante. EE-TA-LO. EE-TA-LO. Sweet Caroline cantata a squarciagola per la Marks. L’enorme tizio con la “C” di Caity tatuata. Lo spettacolo è stato anche da questo lato.
E poi, sì, quel layback di Florence.
Che nostalgia.
Non importa se nono trascorsi pochi giorni. La storia è sempre storia.
E questa è con la “S” maiuscola.