Per quanto in Italia il surf sia in espansione rimane pur sempre uno sport di nicchia. Tra i ragazzi più giovani l’incremento dei praticanti è in ascesa, soprattutto per quanto riguarda il genere maschile, mentre le ragazze faticano ad emergere. Nella fascia di età 25-40 invece si riscontra che le ragazze appassionate al surf stanno quasi al passo con i maschi in termini numerici. Per quanto riguarda le ragazze i trainanti di questo sport spesso sono le influencer, più per il loro stile di vita che per il surf in sé per sé. Abbiamo di recente intervistato Giulia Calcaterra in merito alla sua esperienza a Nazaré, sicuramente lei è uno dei punti di riferimenti per quanto riguarda il surf in rosa. Per me però, e questa è una valutazione personale da “collega”, c’è un altra donna del surf che merita una menzione d’onore: Silvia Cabella.
Chi è Silvia Cabella?
Silvia Cabella è una fotografa sarda. Nata e cresciuta ad Oristano, tempio sacro del surf italiano e capoluogo di provincia della costa ovest della Sardegna. Silvia ha iniziato a scattare sin dai tempi delle scuole elementari: “Ero in classe e avevo con me l’analogica di mia madre, iniziai a scattare foto di nascosto ed il maestro quando mi vide si arrabbiò tantissimo. Non ho più smesso da quel giorno”.
Quando è nata la passione?
Tra i 19 ed i 25 anni Silvia ha preso consapevolezza della sua passione. Da prima per l’urgenza di conservare i ricordi e renderli concreti, poi per congelare il gesto sportivo che l’ha sempre estasiata e catturata. Arrivata ai giorni d’oggi la sua evoluzione l’ha portata a scattare per amore del mare. Vuole ricordare a tutti coloro che si immergono nei suoi scatti quanto sia potente e profondo il mare, da calmo a mosso grazie all’energia degli elementi come il vento ed il fondale, tinta da mille sfumature di azzurro e verde a seconda dei colori del cielo. “Scatto per ricordarmi dell’acqua salata”.
La passione per il surf fa un giro lungo, come quello dei campi rossi e secchi dell’atletica da cui Silvia proviene. Al mare trascorreva molto tempo grazie ai nonni paterni, l’incontro con il surf era solo questione di tempo. Nata sotto al segno dei pesci, ha fatto un giro di pista più lungo e si è ritrovata a Capo Mannu: “Quel giorno di gennaio del 2015 ricordo un freddo maestrale che soffiava forte, un tramonto epico, l’acqua cristallina, le onde lisce e tantissimi surfisti in mare. Rimasi estasiata. Non avevo mai visto niente del genere”.
Come vedi lo sviluppo del surf in rosa?
Come abbiamo anticipato nell’introduzione dell’articolo, il surf è uno sport in rapida ascesa ed i cui praticanti stanno aumentando a dismisura. Silvia Cabella, che è osservatrice e narratrice della scena surfistica italiana ed una dei migliori fotografi in Italia per il mio gusto personale (non soltanto per quanto riguarda la parte sportiva ma anche dal punto di vista del saper raccontare ciò che sente con gli occhi), mi ha dato una sua versione molto interessante sullo sviluppo del surf in rosa. In un contesto maschilista, le ragazze stanno crescendo molto bene.
In Sardegna si sta creando un movimento eccezionale, secondo Silvia le donne hanno la capacità di fare rete: “Generalmente le ragazze si impegnano, si aiutano fra loro e si sostengono anche economicamente. Questo significa che, se una di loro, faccio un esempio, ha un negozio, oppure crea costumi, le altre la sosterranno magari acquistando il prodotto/servizio se vale. Insomma, le ragazze fanno girare l’economia. È fantastico”. In Sardegna stanno nascendo molte scuole con istruttori abilitati ed insegnanti di scienze motorie, questo secondo Silvia sta portando molte ragazze ad avere una percezione diversa del surf, uno sport completo che fa bene al fisico, all’anima e che ti insegna il rispetto per il mare e l’ambiente.
Come vedi invece il movimento maschile?
Facendo un’analisi critica a me stesso e a noi “bestie” (uomini) ho chiesto a Silvia cosa ci consiglia per migliorare dal punto di vista comportamentale in termini di localismo e di prepotenza quando ci troviamo in line-up.
La sua risposta mi trova d’accordo e ammetto che mi trovo in linea con le sue parole:
“Come fotografa so di cosa parli, lo vedo ogni giorno. Ma non riesco a dare una colpa a nessuno per questo genere di comportamenti. Anzi mi fa un po’ sorridere e un po’ lo comprendo. Il senso di tutto ciò è che ognuno di noi ha una passione sfrenata per le onde, e quindi vorrebbe godere di tutta quella bellezza in solitudine o magari condividerla solo con pochi amici, diciamo pure fratelli. Perché la cosa positiva che ho visto esistere tra gli uomini che fanno surf è la fratellanza.
Adorabile, ma ciò vi porta, qualche volta, ad avere una visione delle situazioni un po’ distorta. Ed ecco che nascono fraintendimenti, chiamiamoli così, e localismi vari. Anche se il localismo può essere giusto in quei contesti dove i luoghi e le persone vanno protetti e protette. Ma questa è un’altra storia”.
Surf: passione o lavoro?
Per Silvia il surf è una passione ma anche un lavoro, dietro ad uno scatto per lei c’è molto più della voglia di fermare il tempo. Ama la disciplina, da ex atleta e da studentessa di scienze motorie ha sviluppato una passione per l’espressione del gesto atletico e muscolare. Nel vero senso della parola. È attratta dalla varietà delle forme che ogni surfista fa sue, dall’espressione della personalità che viene messa in mostra cavalcando le onde sulla tavola. Ammette che riconoscerebbe ogni persona che ha fotografato semplicemente vedendola camminare in una piazza affollata.
Non odia niente del surf, ci prova a trovare qualcosa che non vada, ma l’unica cosa che riesce ad infastidirla è che veramente nel mondo ci sia qualcuno che non ha la minima idea di cosa sia il surf. Emotivamente riempie i suoi stati d’animo, forse a volte eccessivamente, tanto che è costretta ad allontanarsi per un po’ da lui per fare spazio dentro di sé. Ma alla fine, tolta ogni superficialità come adesivi, social network e mode dell’ultimo grido, restiamo noi umani ed il mare.
Fonti di ispirazione
Un’amore così smisurato per il mare non poteva trarre ispirazione da fonti banali. Silvia mi ha convinto se ancora ce ne fosse bisogno, che è lei lo spirito guida per tutte le ragazze che vivono il surf in Italia. Tra gli artisti che Silvia Cabella stima di più ci sono Luigi Ghirri e Nikol Suplatova. Un grande nome della fotografia ed una ragazza che non conoscevo ma della quale ho trovato un anello di collegamento con gli altri due artisti che Silvia mi ha menzionato: Hopper e Gauguin. Linee soffici, rilassate, malinconiche e profonde.
Mi sorprende che in mezzo a questi nomi ci sia anche Picasso, lo riconduco forse al caos del mare, nella parte finale della sua carriera. Probabilmente sono fuori strada, ma nella mia testavoglio interpretare così questa scelta. Ultima ma più importante, sua madre. La miglior fotografa senza macchinetta che Silvia conosca, sempre pronta a criticarla ma che c’entra sempre il punto della questione. Sogna il Portogallo e le onde di Nazaré oggi, magari un viaggio in Polinesia domani. Ammetto che sarei curioso di vedere i suoi scatti di Teahupo’o per avere un metro di paragone completamente diverso rispetto ai miei ed imparare qualcosa di nuovo.
Riflessione per un futuro migliore:
Concludiamo il racconto di Silvia Cabella parlando di una tematica che le sta molto a cuore: il sovraffollamento di alcuni spot.
“Forse per la crescita del surf negli ultimi anni, spot importanti nel Mediterraneo come il Mini Capo sono presi d’assalto da surfisti di qualsiasi livello, molto spesso anche da principianti, i quali accade che possano causare, con la loro inesperienza, non pochi problemi a quelli che magari il surf lo praticano da tanto. In qualità di fotografa questa situazione mi condiziona particolarmente. Sono spesso infatti testimone di scene alle quali sarebbe meglio non assistere.
Si troverà mai una soluzione a questo problema? Forse no, ma attendo che il surf diventi, sia per gli uomini che per le donne che vogliono praticarlo, uno sport sempre più esaltante per la qualità delle onde e non per i follower su Instagram”.