È stimato che un surfista che ha la possibilità di entrare in mare tutti i giorni (o quasi) passi, in media, almeno due ore in l’acqua. Ovviamente per noi italiani, nostalgici e romantici, sempre in attesa della swell che ci faccia staccare dalla frenesia della routine quotidiana, il dato è poco veritiero. Conosco persone che in pieno inverno, quando le onde sono particolarmente buone, rimangono in mare anche per il doppio del tempo, nonostante le temperature avverse e la tramontana.
Sappiamo inoltre che la maggior parte del tempo che un surfista trascorre in acqua non è in azione sulle onde, ma lo passa remando o stando fermo. Secondo uno studio neozelandese passiamo in media il 64% del nostro tempo in mare a remare, il 28% fermi ad aspettare e solo l’8% del totale in piedi sulla tavola spinti dalla forza di un’onda. Crederete che questa sia l’intro per un articolo sulla preparazione atletica e sul fitness, ma l’obiettivo è tutt’altro. Sentite questa: se vi dicessi che esiste un modo per aiutare l’ambiente senza fare praticamente nulla di diverso da quello che facciamo di solito in mare?
Di recente mi sono imbattuto in quella si chiama “citizen science”, tradotta in italiano “scienza dei cittadini”. È un’attività scientifica partecipativa a cui chiunque può prendere parte, a prescindere dal proprio curriculum scolastico o accademico. Non a caso, scienziati che si occupano nello specifico di ecologia, hanno bisogno di una grande quantità di dati per portare avanti le loro ricerche. Informazioni che vengono raccolte attraverso appositi progetti in cui si richiede la partecipazione attiva del grande pubblico, come professato dalla neonata start-up OutBe. In mio supporto è intervenuta Arianna Liconti, ecologa marina e appassionata di citizen science, che mi aiuterà a dare una risposta alla domanda che vi ho posto in precedenza.
La scienza del grande pubblico
Ciao Ari, ho bisogno del tuo aiuto. Tu sei surfista, ecologa marina ed esperta di citizen science: in che modo possiamo sfruttare al meglio le ore che passiamo in acqua in un’ottica di tutela dell’ambiente?
“Ti ringrazio della surfista! Aggiungerei mezza, ma l’importante è vivere sempre il mare. Secondo me, prima di arrivare a parlare di citizen science, è necessario parlare di consapevolezza ambientale: sapere di essere in una posizione privilegiata per poter dare una mano alla natura che ci fa tanto divertire. È giusto sentirci ospiti dell’ambiente in cui viviamo se poi agiamo veramente per conoscerlo e prendercene cura. Spesso si parla di conservazione dell’ambiente marino e degli ecosistemi, ma è impossibile proteggere qualcosa se non la si conosce. Passando tantissimo tempo in acqua, noi amanti del mare possiamo far sapere agli scienziati tutto quello che vediamo di particolare, essendo gli occhi e le mani di cui hanno bisogno.”
“Ad esempio, i primi a segnalare dei boom di alghe tossiche in Oceano Pacifico sono stati dei surfisti californiani, che di punto in bianco si sono ritrovati a surfare nella melma. Inoltre, la tecnologia negli ultimi anni ha trovato un punto d’incontro molto interessante tra passione, divertimento e scienza: le smartfin. Sono pinne, progettate in collaborazione con Futures Fins, che al loro interno possiedono un sensore oceanografico che rileva la temperatura dell’acqua. I dati vengono poi trasmessi ad un’applicazione installabile su qualsiasi cellulare. Ripeto che è una pinna, quindi lo shape rimane lo stesso dei vari modelli che sono già in circolazione sul mercato.”
“Ricapitolando il mare è grande, gli scienziati pochi e gli appassionati di sport con salino sulla pelle annesso sono numerosi, quindi potenzialmente avremmo tanti occhi per far sapere gli scienziati cosa vediamo. Quello che ci proponiamo con OutBe è di legare i centri sportivi e le comunità di persone che vivono l’outdoor tutto l’anno con la raccolta di dati per determinate ricerche scientifiche. In altre parole, vogliamo unire i puntini tra chi ama e vive il mare, chi lo studia e lo protegge. Stiamo creando un ecosistema.”
Cosa si può fare nel concreto
Andando più nel concreto quindi, come possiamo noi surfisti contribuire alla raccolta di informazioni utili per la ricerca scientifica?
“Al momento la scienza partecipativa è molto sviluppata per sport come snorkeling, kayak e nuoto, ma meno per il surf. Possiamo utilizzare le smartfin e caricare foto di animali che vediamo tra le onde su iNaturalist (applicazione georeferenziata famosa in tutto il mondo). Tuttavia i progetti non sono tantissimi, proprio perché al momento non esiste ancora questa connessione tra surf e ricerca marina. Col tempo, più surfisti si renderanno disponibili a raccontare le loro esperienze e a raccogliere dati, più i centri di ricerca saranno agevolati nel collaborare con chi localmente vive il mare, contribuendo alla realizzazione e alla popolarizzazione di questi progetti. In quest’ottica, gli scienziati beneficeranno di chi si rende utile mettendo a disposizione la propria curiosità e il proprio occhio critico”.
“Mi piace citare un post di Alberto Carmagnani in cui diceva che “il surf senza contesto sarebbe solo ginnastica”. La chiave è essere quindi consapevoli di quanto noi possiamo contribuire alla sua ricerca e alla sua protezione. Il messaggio che deve passare è che surfare fa stare bene noi e possiamo fare star bene anche il pianeta mentre lo pratichiamo, se ovviamente lo facciamo in un modo coscienzioso, curioso e responsabile mettendoci a disposizione anche di chi ha bisogno di conoscerlo, perché comunque siamo in una posizione per farlo.”
Sottoscrivendo quanto detto da Arianna, invito tutti gli appassionati che si sentono di poter contribuire attraverso le loro session in mare ad approfondire l’argomento e entrare nell’ecosistema di OutBe. Sono tanti gli attivisti che professano da tempo un’inversione di marcia a partire dal cambiamento dello stile di vita e delle abitudini alimentari, difficilmente realizzabile nel contesto globalizzato e capitalistico in cui viviamo. Quello che vi abbiamo proposto è una maniera alternativa di poter fare sport all’aria aperta, aiutando e proteggendo la natura stessa facendo la nostra parte, anche per garantirci le onde del futuro. Win-win, no?
Immagine di copertina di Ben Thouard / Caters News