di Alessio Poli
La World Surf League (WSL), si dichiara “la casa globale del surf, decisa a cambiare il mondo attraverso il potere del surf creando eventi, esperienze e storie capaci di ispirare la crescita della comunità globale”.
Nella sua missione aziendale la WSL non si è mai detta “democratica” ed “aperta al dialogo con i propri atleti” e recentemente lo ha dimostrato in svariate situazioni con sanzioni e squalifiche, l’ultima delle quali avvenuta circa due mesi fa a scapito di Joel Tudor, neo campione del mondo, adesso bandito dal circuito per aver postato su Instagram la reale miseria del Longboard Tour. La stessa cosa è avvenuta nel circuito shortboard, di recente, per la questione del taglio di metà stagione. Lo stesso Leo Fioravanti ci ha confessato che “la WSL non ha mai voluto darci la possibilità di scegliere”.
A differenza del tennis dove gli atleti vivono di endorsement milionari che permettono loro di rinunciare ad un grande slam per esercitare il proprio diritto religioso contro un vaccino, nel surf moderno gli atleti sponsorizzati stanno diventando unicorni e la maggior parte dei guadagni provengono proprio dalle gare del Championship Tour. Per paura di esser sanzionati o perfino sospesi, nessuno degli atleti si è ancora azzardato a protestare contro queste scomode verità.
Il surfista professionista post covid è una contraddizione postmoderna, un cittadino del mondo che parla almeno cinque lingue, che vende la sua nazionalità al migliore offerente pur di andare alle Olimpiadi. Un atleta a tutti gli effetti, che va a letto presto e passa il tempo libero in palestra, capace non solo di manovre incredibili ma anche di schivare critiche sui social e sconfitte brucianti con interviste e commenti sterili e senza anima. Perché quando rappresenti un brand non puoi lasciare spazio alle emozioni forti.
Scusatemi ma io sono un nostalgico, un amante dell’ASP sponsorizzato da Coca Cola, dove Mick Campbell si picchiava con Andy Irons sotto la doccia, Bobby Martinez mandava a quel paese il World Tour in mondovisione e Fred Patacchia accusava i giudici di praticare sesso orale ad Owen Wright.
Non me ne abbiate, WSL ha fatto molto per il nostro intrattenimento, prima di tutto la “Condensate heat replay” perché il surf in diretta concilia il sonno come un Gran Premio di Formula 1, ma ha trasformato anche la nostra passione viscerale in qualcosa sempre più simile al calcio da moviola della domenica sera.
La via del tramonto del surf è vicina e l’estinzione del surfista professionista alle porte: sarà compito della WSL trovare almeno un modo per rallentare il processo, ricercando nuove forme di profitto così da poter veramente pareggiare i conti.