L’idea di questa conversazione è nata a Marzo, una sera quando durante una cena alla Pizzeria Funky Donkey di Ferrel avrei tanto voluto avere un microfono come centrotavola. Tornavamo da una session a Supertubos, affamatissimi. Con me e Tommy c’erano Roby D’Amico ed Edo Papa, erano i giorni del Meo Pro Portugal. Stavamo parlando dello sviluppo di carriera del giovane samurai biondo from Pescara, che Roby alternando bastone e carota accudisce come un fratellino minore. Quell’inverno Edoardo era stato alle Hawaii per la prima volta, un’occasione di miglioramento tecnico ma anche per aumentare la visibilità. Ha passato il suo periodo sulla North Shore di Oahu con Kyllian Guerin, insieme a Nic Von Rupp il miglior content creator del surf europeo. Sul canale YouTube del surfista francese, così come su Instagram, sono usciti alcuni episodi del seguitissimo vlog con Edo Papa co-protagonista. Questo ha comportato un’impennata di interazioni e followers per Edoardo e da lì all’epoca partì la nostra riflessione, atleta vs content creator.
Roby è un grande sostenitore del principio secondo cui se vuoi fare l’atleta devi preoccuparti soltanto di allenarti e performare al meglio, senza distrazioni. Edo Papa ha anche il privilegio di essere tra gli atleti delle Fiamme Oro, quindi riceve mensilmente un compenso per portare avanti la sua carriera sportiva. La mia posizione sul futuro di Edo era un po’ meno netta di quella di Roby, perché penso che ad oggi un atleta debba necessariamente preoccuparsi della sua immagine pubblica e soprattutto digitale. Il mercato purtroppo chiede questo e voltargli le spalle sperando di diventare John John Florence che se ne frega di partnership e click (anche se pure lui…), secondo me è poco realistico. Fa male che sia così, ma dal momento che queste sono le regole del gioco, meglio trovare una strategia di comunicazione per emergere tra off the lip e straight air senz’anima. Le compagnie private che finanziano gli sportivi cercano delle storie raccontate da persone in grado di empatizzare e creare un legame col pubblico. Anche questa è un’arte, una capacità che peraltro Roby ha affinato con gli anni, potendosi permettere una vita facendo ciò che ama senza aver dovuto mai “lavorare” nel senso canonico del termine. Roby D’Amico è diventato anche un influencer ma nell’animo rimane un atleta, lo tengo saldamente ancorato alla categoria degli sportivi di professione.
Con Roby a Senigallia al tavolo della discussione c’era Nick Pescetto, che non avevo mai visto personalmente prima degli XMasters. Un ragazzo che come noi, forse anche ben più di noi, ama le emozioni forti, è dipendente dalle scariche di adrenalina. Surfa, e lo fa anche con discreto profitto, ma viene soprattuto dal mondo della bici, dove da giovane ha flirtato con una carriera da professionista. Scia forte in freeride, fa cliff diving, si lancia col paracadute e non so quanti altri sport estremi abbia coltivato. Di fatto però Nick è un content creator, il più influente rappresentante degli sport estremi in Italia.
Quindi sia Roby che Nick hanno un po’ dell’altro in sé, ma partono da posizioni contrastanti. Ma chi decide se supportare economicamente brand ambassador come Nick o Roby cosa pensa? Hanno riposto Giulia Valbonesi e Cecilia Ferilli, rispettivamente brand marketing manager e influencer marketing manager per Foodspring. Semplificando, Giulia e Cecilia decidono quali ambassador portare nel team destinando budget in base a criteri che vengono spiegati nel podcast atleta vs content creator. Foodspring peraltro è una realtà estremamente virtuosa, un perfetto caso di successo dell’influencer marketing, per cui l’azienda tedesca investe soltanto in Italia un paio di milioni di euro l’anno. Una cifra suddivisa tra 95 brand ambassador che ricevono un compenso mensile come fee per la collaborazione con Foodspring.
Questo è un tema molto caro a chi frequenta il mondo del surf, visto che ormai tutti noi abbiamo sviluppato un particolare senso di solidarietà ed affetto per i surfisti senza sponsor, quelli che per un bug del sistema rimangono con la tavola bianca, senza sticker, anche quando stanno spaccando nel Championship Tour.
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