Oramai non c’è nulla di più scontato sulle tavole da surf. Sono ovunque. Se non avessimo freni né limiti economici, probabilmente per ogni surfista ci sarebbero decine di tavole inutilizzate. Tuttavia trovo che si sia un po’ perso il vero spirito: sembra che la tavola sia passata da esser considerata come qualcosa di personale, di visceralmente legato al proprietario, ad un oggetto qualunque, come uno scarpino da calcio. Non vedo più quella cura, quella passione ardente negli occhi delle persone che mi fa capire che la tavola è la loro compagna di vita.
D’altronde non poteva essere altrimenti. L’industria del surf è un settore in continua espansione: se nel 2020 il fatturato ha raggiunto i 3.88 miliardi, è stato stimato che nel 2021 i ricavi ammontassero a 3.97 miliardi. E non è tutto qui. Si pensa che in questo decennio il tasso di crescita annuale sarà del 4,4%, spinto dall’ondata di millenials entusiasti. Chiamatela adrenalina, follia o semplicemente passione: di certo quei pochi secondi di felicità su un’onda frutteranno sempre di più alle tasche dei grandi marchi che governano l’industria del surf.
Una questione di approccio culturale
Queste riflessioni mi sono affiorate alla mente ripensando a un discorso che feci con Marcello Zani, CEO di Sequoia Surfboards: uno che sulla costruzione di tavole da surf ha fatto la propria scommessa di vita. Raccontandomi dei suoi viaggi, riuscì a definire lo yin e lo yang del suo mondo citando due terre su cui ogni surfista italiano sogna di metter piede: California e Australia.
“I californiani hanno la passione, il gusto ed il culto per la tavola da surf. Ne conoscono ogni minimo dettaglio e le trattano come se fossero cimeli di famiglia. Gli australiani invece le comprano, le rompono e le ricomprano, senza pietà. Le trattano come semplici oggetti, e questo si riflette anche nella scelta limitata che fanno: sempre con le solite tavolette dei grandi marchi”.
Ovviamente, come si suol dire, non tutto il mondo è paese: ci sarà ben più di qualche australiano anomalo e viceversa. E naturalmente non siamo qui per discutere su quale sia l’approccio migliore. Il mio obiettivo è quello di stimolarvi ad essere più coscienti quando si tratta di comprare una nuova tavola da surf. In che modo?
Step N1 – Non andare in overbooking
Il primo passo per evitare che la nostra rastrelliera vada in overbooking è chiedersi se effettivamente abbiamo bisogno dell’ennesima tavola. Molto spesso vedo persone che, prese dall’entusiasmo, ne acquistano una dopo l’altra. Nulla in contrario, ma quando si arriva ad avere più di 2 tavole nuove in un anno (in Italia) che cosa si è ottenuto? Ci sono surfisti italiani di altissimo livello che a malapena riescono ad averne 2 all’anno dagli shaper locali con cui collaborano. E stiamo parlando di persone che ad ogni swell rispondono ‘presente’ quando il mare fa l’appello.
Step N2 – Lasciati guidare dalla tavola
Nuova tavola = nuovo modo di surfare. Non è la tavola che si adatta a noi, come in molti pensano, ma viceversa. È per questo che un nuovo acquisto dovrebbe avere l’obiettivo di sperimentare un nuovo stile, e questa potrebbe essere la chiave per progredire. Il surf è uno sport infinito, tanto da avere cunicoli tecnici inesplorati dalla maggior parte dei praticanti. Pro e semi-professionisti a parte, le cui tavole differiscono per minimi dettagli (per un motivo ben preciso), far prendere polvere a manufatti che non abbiamo voglia di usare ha poco senso.
Step N3 – Non siate litromani
Smettiamola coi litri. Negli ultimi anni si è creato troppo allarmismo sul volume delle tavole, tanto che una persona arriva a comprarne scegliendo solo in base al litraggio, senza nemmeno tener conto della forma. Esistono decine di shape diversi, ognuno con i suoi pro e i suoi contro, e tutti hanno delle peculiarità che li differenziano dal punto di vista idrodinamico. Inoltre, come spero saprete, bisogna tenere conto del materiale. La resina epossidica ha il 35% in più di resistenza rispetto alla resina tradizionale a base di poliestere. La surclassa inoltre per avere una galleggiabilità e una reattività maggiore: a parità di volume quindi, una tavola in epoxy galleggia di più di una tavola in PU. Tuttavia, con brutte condizioni del mare, potrebbe dare un feeling noioso, vibrando sotto i nostri piedi e mettendoci in difficoltà. In poche parole, scegliere in maniera consapevole sia il materiale sia lo shape agevolerebbe le nostre scivolate.
Step N4 – Support your local shaper
Support your local shaper. Lo so che è come comprare vestiti al mercato comunale invece che su Zalando, ma che gusto c’è a comprare una tavola senza aver nemmeno avuto l’occasione di vederla in corso d’opera? Per la mia esperienza personale, vi posso dire che il mio surf è cambiato da quando ho iniziato a comprare tavole da shaper locali. Il confronto tra il surfista e colui che crea il mezzo che ha sotto i piedi stimola la crescita da entrambe le parti, a qualsiasi livello di surf. L’interesse nell’ampliare le proprie conoscenza non dovrebbe mai mancare, anche perché vi assicuro che se arriverete a comprendere il motivo per cui una tavola viene fatta in un certo modo, avrete tutta un’altra coscienza e consapevolezza quando la userete.
Spero che in futuro si avrà un’inversione di rotta ‘from the global to the local’. In Italia la manodopera non manca, tantomeno il culto delle tavole da surf. Ci sono shaper in tutta la penisola che meritano attenzioni, dai più famosi ai più underground, e, almeno che non siate dei pro, la Channel Islands uscita da una macchina non avrà mai lo stesso valore di una tavola fatta a mano da uno che ci mette dentro anima e cuore.
Commenti disabilitati.