Spesso gli incontro più interessanti avvengono per caso. Quest’intervista con Adin Masencamp è nata proprio così. Appena atterrato a Cape Town, il 3 Agosto scorso, ricevo un messaggio dal mio amico Valerio Barbarossa:
Il nome di Adin Masencamp attira la mia attenzione: ha vinto il Ballito Pro nel 2022, unica tappa delle Challenger Series in Sudafrica, in più a Luglio del 2023 è stato invitato come wildcard al J-Bay Open. È al momento in cui scrivo il 30° surfista del ranking delle Challenger Series, un regular footer potente e preciso, legittimo discendente della dinastia dei power surfers sudafricani. Valerio (chi è Valerio?) mi parla in toni entusiastici di Adin, lo descrive come una persona super alla mano, un ragazzo serio e determinato. Gli lascia il mio numero e la mattina successiva Adin Masencamp mi scrive:
Hey Bru, it’s Adin Masencamp here. Got your number from Valerio, he said you wanted to do a collaboration with Jbay?
Di solito gli atleti (i surfisti in particolare, ehm ehm) vanno rincorsi, invece Adin ribalta la scena. Sono sorpreso ed ancora più curioso di conoscerlo. Purtroppo scopro che in quel momento stava lasciando la California (dove si trovava per gli US Open) per volare di corsa in Namibia, un’enorme mareggiata stava per raggiungere Skeleton Bay. Condivide comunque con me qualche preziosa informazione su J-Bay e dintorni, ma ci diamo appuntamento più avanti per una chiacchierata via Zoom.
Cosa significa essere un surfista in Sudafrica? Senti di aver avuto un supporto sufficiente dalle istituzioni e dalla società, oppure il surf è ancora considerato uno sport di Serie B?
Ho molto da dire a riguardo (sorride, ndr). Quando ero a scuola, i surfisti venivano additati come degli scansafatiche. Le maestre mi dicevano: veramente pensi di vivere facendo surf? Per me è stata una motivazione extra, dimostrare a quelle persone che sarei riuscito a rendere il surf il mio lavoro. In generale purtroppo anche qui in Sudafrica non c’è ancora la percezione che il surf sia un vero sport. Ora per fortuna sta iniziando a cambiare, ma questo dipende soprattutto dalle Olimpiadi. Sono contento per chi verrà perché conosco le difficoltà e la sofferenza di crescere in un ambiente che invece di incoraggiarti, ti ostacola. Non è stato facile per me da piccolo.
Il rugby in Sudafrica è religione, e poi? Quali altri sport sono popolari?
Sì il rugby qui è gigantesco, come il calcio in Brasile. Ti direi anche il cricket: quasi alla pari, comunque molto seguito. Al terzo posto metto il golf. Il resto è considerato secondario. Però il surf sta arrivando: ci vorrà tempo, ma penso che potremo scalare posizioni.
Surf, Sudafrica: J-Bay. È un’associazione di idee ovvia. Sono stato lì ad Agosto e mi chiedo come mai quel posto sia così poco frequentato dai turisti. Veramente non arrivano turisti del surf per paura degli squali?
Ascolta, sarò onesto: in Sudafrica se guidi per 30 minuti sulla costa trovi sempre, per forza, un’onda buona. Abbiamo una quantità infinita di onde di qualità. Ogni giorno. Abbiamo dei point incredibili oltre a J-Bay, abbiamo degli slab, dei beach break disegnati. In Sudafrica esistono molte più onde che surfisti, il rapporto non è sbilanciato come in Europa o negli Usa, dove accade il contrario: da voi non puoi mai surfare da solo. Il Portogallo è l’unico posto che a volte mi ricorda casa. In Sudafrica cerchiamo persone con cui surfare, è la dinamica opposta.
E invece tornando a J-Bay, perché c’è così poca gente in acqua?
Perché a Jeffreys vivono pochissime persone. Non sei il primo che mi dice sorpreso: J-Bay è la migliore destra del mondo, ma in acqua non c’è mai nessuno. Capisco possa farvi effetto.
Sì ma poi il clima che c’è in acqua è incredibile, tutti fanno la fila e se ti sai comportare ti permettono anche se sei un turista di avvicinarti al picco.
In Sudafrica le persone non sono in astinenza da onde, semplice. Poi se non c’è la swell veramente buona non viene nessuno da Cape Town, che se arriva una crew da 50 surfisti forti si sente. Anche da Mossel Bay, Victoria Bay arrivano altri gruppi di persone. A te può sembrare comunque pumping, lo capisco, ma per chi vive in Sudafrica non sono condizioni sufficienti.
Al di là del surf, nei 7-8 giorni che ho trascorso a Jeffreys Bay ho avuto la sensazione di vivere in una cittadina abbandonata. Anche i mega surf shop erano vuoti e tristi, con merce delle stagioni passate. Pochi ristoranti, un unico baretto fatiscente dove incontrarsi. È sempre stato così?
La cittadina di Jeffreys Bay si attiva solo durante il Championship Tour, in quei dieci giorni tutto prende vita. Ogni ristorante è pieno, ogni casa ha le luci accese, ogni surfista vorrebbe essere lì per godersi lo show. La cittadina basa la sua economia su quel grande evento (che purtroppo non c’è più, cancellato dal Tour per il 2024). Nel resto dell’anno è come dici tu, J-Bay si spegna. Non vorrei vivere fisso lì perché di fatto sei fuori dal mondo, non succede granché. L’onda è l’unico motivo per cui la cittadina di Jeffreys Bay è sulla mappa.
Passiamo a parlare della tua carriera. Attualmente sei il numero 30 delle Challenger Series, competi tra CS e QS. Partendo dal Sudafrica spesso devi fare tanta strada per seguire le gare: come te la stai cavando? Riesci ad avere sufficiente supporto?
Per un surfista professionista sudafricano è veramente difficile. Lo è anche per altri paesi che non sono l’Australia o gli Stati Uniti, ma noi del Sudafrica partiamo veramente con un handicap. La mia famiglia e la community locale stanno facendo molto per aiutarmi. La verità però è che se non ottieni risultati non sopravvivi: se superi delle heat ottieni un premio in denaro con cui alimentare il tuo sogno, se esci nei primi round non copri nemmeno le spese. Comunque vada un sudafricano avrà sempre un deficit economico perché il rand, la nostra moneta, è molto debole rispetto all’euro oppure al dollaro. Per esempio per me non avrebbe senso fare un lavoretto nel mio tempo libero, non metterei nulla da parte. Alcuni miei amici in Australia o negli Usa lavorano come baristi, come lifeguard e riescono ad arrotondare. Io perderei soltanto tempo perché oltre a non guadagnarmi i soldi per pagarmi un biglietto aereo, non mi starei nemmeno allenando.
Sì, capisco che dici. È un discorso delicato.
Sì ma non mi vergogno a dirti che quando arriva il momento di pagare il viaggio per tappe del circuito lontane come il Portogallo o il Brasile, chiedo i soldi in prestito a delle persone della comunità locale che mi hanno sempre supportato. Mi anticipano i soldi per comprare il biglietto aereo, arrivo sul posto per disputare la gara e li ripago subito con il cache della World Surf League. Questo meccanismo mi rende ancora più affamato, sento la pressione positiva di persone che hanno investito su di me, voglio renderli fieri.
Apprezzo molto la tua schiettezza, non è da tutti. Grazie perché mi permetti anche di farti la prossima domanda con più convinzione: per quanto sia presto, pensi mai al tuo futuro?
A volte ci penso, certo. Credo però che arrivare nel Championship Tour mi permetterebbe di avere abbastanza denaro da investire per gestire con più serenità il mio post-carriera. Questa estate ho avuto un assaggio di cosa significhi partecipare al CT per il solo fatto di essere chiamato come wildcard al J-Bay Open: quei soldi mi dovrebbero bastare per coprire le spese fino all’inizio del prossimo anno. Al di là di quanto il CT potrebbe influire sul mio benessere finanziario, ho iniziato un mio programma di élite surf training e sto già lavorando con un paio di giovani talenti. Non è ancora il mio main focus ovviamente, ma abbiamo portato a casa dei risultati già nelle prime uscite. Per questi ragazzi posso essere un mentore, l’esempio di qualcuno che ce l’ha fatta partendo da dove loro sono adesso.
Adesso siccome sei tornato da poco da un viaggio in Namibia, vorrei che mi raccontassi un po’ della tua esperienza a Skeleton Bay (mareggiata di Agosto 2023)
È stato intenso, man. C’erano almeno 50, 60 macchine, ognuna con 4 persone dentro. È veramente tanta gente, tanti filmer anche. Eppure quando sei là fuori in acqua il 90% delle volte sei solo. Non è stato il miglior Skeleton Bay di sempre dicevano, però me la sono veramente goduta. Non facevo un surftrip in un altro paese da quando avevo 14 anni forse. Ero agli Us Open, ho perso una heat in maniera abbastanza strana, ero arrabbiato. Ho chiesto al mio agente di viaggio se potesse farmi uscire dal paese il prima possibile e per un’assurda coincidenza il volo che costava meno si incastrava perfettamente con la swell in Namibia. Non sarei dovuto andare, non era nei programmi, ma è capitato al momento giusto.
Com’è l’onda di Skeleton Bay?
Ho preso alcuni dei tubi più lunghi della mia vita. La situazione è surreale: surfi tutto il giorno, senza sosta. Il tubo è veramente tecnico, solo alcune sezioni dell’onda sono scavate come le vedi nei video su Instagram. Devi cambiare linea veramente spesso. Ho imparato nuove tecniche di backside barrel, ogni onda è talmente lunga che ti dà l’opportunità di sperimentare. Ad ogni giro puoi prendere una come tre onde. Poi per tornare su a piedi sono circa tre chilometri sulla sabbia morbida, col vento contro. È una maratona.
Ho letto il report di Nathan Florence su Stab che diceva di non avere più la forza per portare la tavola sottobraccio, quindi se la portava a tracolla utilizzando il leash.
Ma è veramente così, credetegli. Pensa che quando entri da in cima al point per prendere un’onda non ha nemmeno senso provare a remare per rimanere in posizione. Ho provato con tutte le mie forze, e comunque mi muovevo in direzione della corrente. Non puoi farcela. Meglio lasciarsi andare sperando che arrivi un buon set. Capita a tutti a Skeleton Bay di fare un giro dall’inizio alla fine del point senza prendere un’onda, scarrocciando soltanto in corrente. Ed è così frustrante perché nonostante tu non sia mai nel punto giusto vedi mille onde buone intorno a te. Devi essere semplicemente fortunato per trovare un’onda epica a Skeleton Bay.
Come fai ad individuare una buona onda là fuori?
Lo capisci dal double-up, con un po’ di occhio ti accorgi se l’onda colpirà il bank nel punto giusto. La mia prima onda in Namibia era una di quelle buone ed ero così gasato che mi sono distratto, perdendo completamente il controllo. Ero al quarto tubo consecutivo, sulla stessa onda.
Skeleton Bay è pesante come si dice?
Il fatto è che se prendi uno schiaffo a Skeleton Bay te lo ricordi, è veramente pesante. Nel giorno più grosso ho rischiato, sono scoppiato dentro ad un closeout di 8 piedi: la tavola si è ribaltata dentro al tubo, le pinne mi hanno colpito sull’addome. Ho perso le pinne nell’impatto, per fortuna erano FCS 2. La muta mi ha protetto ma comunque mi sono procurato un bel taglio.
È veramente così facile arrivare sullo spot?
Sì basta prendere un volo da Cape Town a Walvisbaii e poi dall’aeroporto saranno 40 minuti di macchina forse. Gli alloggi sono tutti in città, a metà strada tra l’aeroporto e lo spot. L’onda rompe lungo questa lingua di sabbia che si estende oltre la laguna, non diresti mai che lì rompe un’onda del genere. La costa forma un porto naturale e sembra che siccome l’acqua che ogni giorno entra ed esce dalla laguna (a causa delle maree), prima o poi l’onda potrebbe sparire. Molti cavalcano questa leggenda ma io personalmente non credo che l’onda sparirà mai. La sabbia sicuramente si muove in continuazione, l’onda cambia di giorno in giorno.
Dato che ormai chiunque può organizzare un trip in Namibia, hai trovato persone non al livello durante l’ultima swell?
No in realtà erano tutti preparati, c’erano surfisti capaci. Molti pro: Jamie O’Brien, Koa Smith, Nathan Florence. Ho notato persone che non erano strettamente del giro, non dei pro surfer ma gente che sapeva cosa fare, comunque prendevano i loro tubi. Per paradosso alcuni sconosciuti hanno preso tubi perfino migliori dei pro.
Grazie Adin, in bocca al lupo per tutto!