Non è la prima volta e probabilmente non sarà l’ultima situazione in cui parleremo dell’impatto che il turismo del surf ha avuto sul Marocco. Chi c’è stato solitamente torna in questa terra di cui molti tra i nostri amici surfisti e lettori custodiscono uno splendido ricordo. Ne parliamo, condividiamo memorie e riflessioni, ma anche dispiaceri: come dimenticare la mattina del 20 gennaio, quando ci svegliammo con le immagini delle ruspe che demolivano la parte antica di Imsouane, villaggio di pescatori affacciato su una delle onde da longboard più lunghe del mondo?
Quel momento così forte ha segnato un passaggio decisivo nella gentrificazione del Marocco, processo con cui si allude alla trasformazione di un’area popolare (le casette rurali adibite a strutture per turisti del surf) in una zona abitativa di pregio (moderni residence e alberghi costruiti da aziende straniere). La potenza dei video della demolizione ha obbligato tutti a realizzare che il turismo del surf in Marocco non è sempre, solo e soltanto cosa buona e giusta. Come ogni acceleratore di opportunità economiche, può avere allo stesso tempo risvolti positivi e negativi. È una macchina che va veloce, per cui serve un buon pilota alla guida. Il governo marocchino dovrà gestire molti soldi da qui ai Mondiali di calcio del 2030, regolando il traffico di investimenti esteri. Da appassionati viaggiatori rimarremo vigili sulla vicenda ma è chiaro che la partita è nelle mani del popolo marocchino.
Le testimonianze di chi grazie al turismo del surf in Marocco si è costruito una nuova vita
E così noi, che prima della demolizione di Imsouane ci eravamo accorti di questa insidiosa deriva, eravamo stati in Marocco ad ottobre 2023 per filmare un surf movie di inchiesta. Abbiamo parlato con le persone, uomini che cogliendo le opportunità derivate dal turismo del surf si sono costruiti una nuova vita. Nel video prodotto per Bear Surfboards sentirete parlare Youssef, fondatore di Travel Surf Marocco, che ad Imsouane tramite sue attività legate al surf dà lavoro a 45 abitanti del villaggio. All’interno del progetto “Atlas” ha una parte importante anche Azhar, uomo di cultura e studioso della storia marocchina, un ex insegnante di musica tradizionale finito per innamorarsi del mare e delle onde. Lui da Imsouane scappò tanti anni fa perché dopo innumerevoli disperate segnalazioni dello stato di degrado in cui versava il villaggio, era finito nel mirino della popolazione locale. Scrisse relazioni sulla questione delle fogne, che scaricavano direttamente in mare, sull’edificazione selvaggia della scogliera rivolta direttamente sulla baia, con strutture pericolanti e poco sicure. Azhar era diventato un problema e così scelse una nuova oasi di pace. Adesso teme anche per la sua nuova causa, a tal punto da essersi impegnato per insegnare il surf in maniera iper-responsabile e solo a piccolissimi gruppi di persone: “Mi sono reso conto che comprando più mute e più tavole per la mia scuola stavo contribuendo alla massificazione del turismo in Marocco”. La sua è una visione estrema ma rispettabile, che invita a riflettere.
Onde e destinazioni fuori dai radar
In “Atlas” non troverete nemmeno un’onda filmata a Taghazout o Imsouane. Siamo volutamente andati fuori dai soliti itinerari, concentrandoci su zone in parte mai viste prima in un video di surf. Nelle giornate migliori abbiamo surfato in meno di dieci persone dei reef a-frame tirando al limite il quiver di Bear, i twin-fin fischiavano come dei treni a vapore sotto i piedi di Ian e Filippo, che in condizioni di mare epico si sono esaltati tirando fuori quello che per ora è il miglior surf che abbiamo visto nei recenti viaggi insieme. Guardare per credere.
Chi vive vede, ma chi viaggia vede di più
“Atlas” è un progetto di Surfsuit per Bear Surfboards a cui hanno partecipato Linda Tani (produttore), Filippo Orso (surf advisor e rider) ed i rider Ian Catanzariti e Tommaso Toigo. Il film è stato scritto da Leonardo Franceschini ed editato da Tommaso Pardini, che insieme ad Alberto Maiorano si è anche occupato del filming.