È sotto gli occhi di tutti. Da quando il surf è diventato una disciplina olimpica, si è rinforzato quel processo di sportivizzazione che sta portando le nostre amate due ore con la tavola in mare a diventare uno sport vero e proprio. Non a caso, l’Italia è disseminata da nord a sud di scuole dove le famiglie possono portare i propri figli ad imparare a surfare già in giovanissima età, affidandoli nelle mani di centinaia di istruttori. Un po’ di teoria, qualche minuto di riscaldamento, session di due ore e feedback finale: qualsiasi persona, dai 4 ai 90 anni, può usufruire di un servizio simile in tutte le surf school d’Italia e del pianeta.
Per non parlare dei surf coach. Senza dover andare lontano, possiamo notare come i Kelly Slater del surf italiano, ad esempio Lorenzo Castagna e Nicola Bresciani, stiano contribuendo da anni alla crescita surfistica dei Young Guns del nostro paese. Inoltre, sono sempre di più gli appassionati che si sono formati o si stanno costruendo una carriera come maestri nel vero senso della parola. Tuttavia, ci tengo ad evidenziare che, a differenza di quel che molti potrebbero pensare, fare questo tipo di lavoro non richiede solo esperienza sulle onde. Sono necessarie nozioni sulla metodologia dell’allenamento, elementi di psicologia, biomeccanica e tante ore di studio per poter allenare a 360 gradi un potenziale futuro professionista.
Insomma, quando gli interessi economici e la scienza iniziano a ruotare attorno a un’attività come il surf, da semplice stile di vita o divertimento ecco che diventa uno sport vero e proprio. In Italia questo processo è in corso da pochi anni, ma basta affacciarsi oltre le Alpi per capire che i nostri cugini francesi hanno effettuato questa transizione già da molto tempo. In qualche settimana tra i beach break di Hossegor vi imbatterete spesso in orde di groms che tutto ad un tratto invadono la line-up e iniziano a saltare da un’onda all’altra come se niente fosse. Tutto ciò sotto gli occhi attenti di un coach federale, che dirige il proprio team come un mister di calcio coordina la propria squadra.
Ovviamente non c’è nulla di male in tutto questo: vedere che il surf appassiona migliaia di ragazzini e ragazzine della Generazione Z è un qualcosa di positivo. L’unica differenza che c’è rispetto a chi surfa da prima dell’esplosione delle surf school, è che al giorno d’oggi un giovanissimo inizia a surfare come inizierebbe qualsiasi altro sport. Prima, se non erano amici o conoscenti o la curiosità ad introdurci al surf, trovare un istruttore che ci prendesse a 6 anni sotto la propria ala non era così facile.
Il surf come sport d’imitazione
Ora vi pongo un quesito: chi ha iniziato prima degli anni 2000 come ha imparato a surfare? Mi ricordo che un mio caro maestro di judo mi ripeteva sempre “è più facile fare che vedere”. Non so quanto sia applicabile al nostro mondo fatto di wipeout e tavole flexate, anche perché sennò saremmo tutti Gabriel Medina. Si può cogliere, però, un briciolo di verità in un’affermazione del genere: concentriamoci specialmente sul termine “vedere”.
A parer mio, il surf moderno è prima di tutto uno sport d’imitazione. Molti dei pionieri di questa disciplina nella penisola hanno affermato di aver iniziato a surfare grazie a riviste di windsurf che dagli anni ’80 in poi hanno iniziato a dedicare un angolino della loro linea editoriale al surf da onda. Prima con le immagini, poi con i video, il nostro amato surf ha iniziato ad entrare nei desktop dei surfisti italiani. Uno dei pochi modi per progredire, se non grazie a un talento innato, era appunto studiare i movimenti di chi il surf lo sapeva (e sa ancora) fare veramente.
Non mi è servito andare lontano per trovare testimonianze a riguardo, sia in termini di età che di distanza. Avendo la fortuna di abitare a 5 minuti da Pippo Eschiti, spesso ho l’opportunità di surfare assieme a lui e di scambiare qualche chiacchiera. Mi ha sempre raccontato che per imparare a surfare come fa (bene) oggi non ha mai avuto un coach che lo allenasse veramente: “Per migliorare, andavo a vedere i video dei pro, analizzandone i gesti tecnici e provando a riprodurli allo specchio”, dice Filippo. Prosegue aggiungendo che “quelli a cui mi sono ispirato di più sono il king Kelly Slater, Mick Fanning per la sua precisione chirurgica e Dane Reynolds per il suo essere radicale”.
Un’affermazione che suona strana se non ci siamo abituati. Tuttavia, evidenzia il fatto che sia possibile per un italiano raggiungere un bel livello di surf nonostante la poca frequenza di onde. Attenzione però a non sognare troppo: se di esempi come Filippo Eschiti o Niccolò Amorotti (perchè sì, anche lui ha imparato da autodidatta) ce ne sono pochi, vuol dire che non è così semplice. Servono sicuramente tre cose fondamentali: determinazione, capacità di autoanalizzarsi e, banalmente, le onde.
Naturalmente, guardare solo video di pro non basta per imparare a surfare. Bisognerebbe riuscire, ogni tanto, ad avere qualche materiale video per renderci di come surfiamo realmente, dato che la percezione che abbiamo della nostra surfata non per forza corrisponde a quello che vedono gli altri. Conseguentemente, potremmo analizzare le nostre scivolate e andare a capire dove sbagliamo, per poi lavorarci e migliorare sul lungo termine.
Osservare è la chiave per progredire
Arrivati fin qui, non ci resta che tirare le somme e trarre delle conclusioni. Ci sono un paio di dettagli che ho tenuto nascosti finora. In primis, non per forza l’unica fonte di informazioni devono essere i video delle leggende del surf. Prendiamo per esempio John John Florence. Sono convinto che imparare studiando i suoi gesti tecnici sia quasi impossibile: non tanto per le cose che fa, che è la prima cosa che ci salta all’occhio se lo guardiamo surfare, ma più per come le fa. I suoi movimenti sono talmente unici e cuciti sulla sua pelle che sfiderei chiunque a imitare la sua surfata. Già da surfisti più tecnici, come possono essere i brasiliani o l’intramontabile Mick, la faccenda si pone diversamente.
I primi da cui impariamo (anche inconsciamente) sono inevitabilmente i locali del nostro spot. Che siano amici, conoscenti o gente sconosciuta, soprattutto agli inizi si è sempre meravigliati dal surfista del posto che vediamo sfrecciare sull’onda. Ne consegue poi che chi raggiunge un livello più alto, involontariamente influenzi anche lo stile di surf che va per la maggiore in quello spot.
Secondariamente, riprendendo il discorso di prima, per quanto riguarda l’autoanalisi c’è un altro fattore evidente che non ho citato: lo status di cultura surfistica e di conoscenza che si ha della tecnica. Ci sarà sempre un limite oltre cui il nostro bagaglio di informazioni non ci sarà più utile per progredire. Ed è a quel punto in cui dovremmo domandarci se affidarci ai consigli di un surf coach o di qualcuno che sicuramente ne sa più di noi.
Per concludere, imparare a surfare da autodidatta è possibile. Di esempi potremmo trovarne quanti ne vogliamo, specialmente tra quelli nati prima del ’97. Ricordiamoci, però, che affidarsi fin da subito a un esperto in materia sicuramente ci permetterà di fare progressi in meno tempo. Tuttavia, è inevitabile non riconoscere che ci siano persone particolarmente portate per il surf, come in tutti gli altri sport, per cui il fattore ‘predisposizione’/ ‘talento’ accelererà o meno la nostra crescita.