Con l’ultima operazione condotta dal gruppo Authentic Brand, già acquirente di Volcom nel 2019 e che vanta nel suo portafoglio anche la proprietà sui diritti d’immagine di Muhammed Ali, Elvis Presley, David Beckham e Marylin Monroe (giusto per citarne alcuni), cambiano le carte in tavola all’interno dell’economia del surf. Il gruppo Boardriders, che unisce sotto allo stesso tetto Quiksilver, Billabong, RVCA ed Elements, è stato acquisito per una cifra che si aggira attorno al miliardo di dollari dalla multinazionale newyorkese.
Qual è il rapporto delle multinazionali con il surf?
Le multinazionali non hanno mai davvero portato dei benefici duraturi all’economia del surf, anzi. Proprio una mossa in stile multinazionale ha innescato la miccia che in principio ha fatto esplodere Quiksilver. Nel 2005 infatti, l’azienda nata in Australia acquistò il brand francese di sci Rossignol per la cifra monstre di 560 milioni di dollari. In soli tre anni l’investimento si è rivelato una cantonata talmente grande da obbligare Quiksilver a rivendere Rossingol per una cifra ridicola. Con una perdita di circa 500 milioni di dollari, Quiksilver si avviò inesorabilmente verso il fallimento.
Interrompere i rapporti con i vari Kelly Slater, Dane Reynolds e Craig Anderson che da lì a poco avrebbero fondato i loro marchi personali (tenete a mente questo passaggio), non ha risolto i problemi per Quiksilver che nel 2017 è inglobata nel gruppo Boardriders. Le altre aziende che sono state acquisite da multinazionali, Hurley da Nike e Channel Islands da Burton, dopo un boom iniziale si sono viste pian piano abbandonare al loro destino per poi essere nuovamente cedute.
Perdità di identità
Il grosso rischio che corrono i marchi acquisiti dalle multinazionali è quello di perdere la propria identità. Prendete un team manager di surf e fategli gestire una banca. Quale sarà il risultato? Si troverà disorientato. Secondo quale logica a parti inverse il risultato dovrebbe essere soddisfacente? Il mondo del surf è complicatissimo, lo sappiamo. Pieno di leggi non scritte che solo chi ne fa parte conosce e sa come interpretare. I surfisti sono difficili da gestire, il pubblico è competente e pretenzioso, quindi trattare un’azienda di surf come una multinazionale qualsiasi non è possibile. Ogni gestione di tipo strettamente manageriale è andata male, qui non ci piove. Guardate la fine che sta facendo la WSL. Ma allora cosa fare per mantenere un’identità forte ed accontentare quella nicchia di consumatori che hanno a cuore il surf? Vi ricordate i brand indipendenti creati da Kelly & Co. che dicevamo sopra. Loro potrebbero essere la soluzione.
Brand indipendenti di fondati da pro surfer
Quei tre esuli di Quiksilver hanno dato il via ad un movimento molto interessante che sta spopolando tra i professionisti del settore. Etichettati come folli all’inizio del loro percorso, adesso vengono dipinti come dei geni visionari: il confine è sempre sottile. Infatti forti della loro immagine, i surfisti professionisti hanno deciso di fare impresa e dati alla mano sta andando molto bene. John John Florence con il suo Florence Marine X e Julian Wilson con Rivvia Projects sono solo due degli ultimi nomi illustri che si sono uniti a questa lista. Il pubblico si è diviso: c’è chi rimane fedele ai marchi storici, che per abbattere i costi producono in serie secondo le logiche del fast fashion, e chi invece si dimostra pronto a pagare un extra perché percepisce il valore dei prodotti di alta qualità sviluppati dai surfisti per i surfisti. La stessa dinamica che si è verificata nel fashion.
Fash fashion vs piccole produzioni
Se da una parte la massa si è spinta verso il fast fashion che copiava i trend dell’alta moda rendendoli accessibili a tutti con conseguente riduzione di qualità, i veri appassionati si sono spinti alla ricerca di manifatture pregiate e particolarità nei dettagli. Questo ha creato un’ampia offerta di brand di nicchia per soddisfare la domanda sempre crescente del pubblico. Si è dunque avviato un processo inverso: dal negozio locale al grande magazzino, dal grande magazzino ad internet, da internet a tanti piccoli commercianti che grazie al web hanno potuto presentare un progetto alternativo che sta allontanando sempre di più i consumatori dal fast fashion (la crisi del colosso H&M è una prova tangibile).
Prendiamo il caso Globe: l’azienda australiana si è ritirata dal mercato dell’abbigliamento perchè in Australia la metà dei negozi di surf è di proprietà dei gruppi Boardriders e Katmandu che vendono soltanto i marchi che gestiscono direttamente. Questo lascia poco spazio a brand indipendenti ma comunque storici che soffrono una condizione di svantaggio nei confronti delle corporate. L’ennesima acquisizione di un pacchetto di brand, come avvenuto adesso con Boardriders e Authentic, aggraverà sempre di più questa situazione. I brand entrati nel giro delle corporate sempre più spesso stanno basano la loro idea di mercato sul principio del tutto e subito. Producono una quantità incalcolabile di “Limited edition”, le collezioni non fanno in tempo ad uscire che sono già vecchie e soprattutto non hanno niente da raccontare.
Che effetto avrà questa scissione all’interno dell’industria del surf?
I grandi marchi hanno sempre puntato tanto sugli ambassador senza rinforzare realmente il legame o la storia del brand. Oggi questi ambassador, in passato ricoperti d’oro, sono stati abbandonati e hanno deciso di intraprendere una carriera da solisti. I vari Former, Rivvia, Outerknown e Florence Marine X hanno una forte identità alle spalle. Producono meno, supportano atleti locali o meno mainstream e potrebbero essere il vero punto di partenza verso un economia del surf più sostenibile. Non solo dal punto di vista economico ma anche nel rispetto dell’ambiente. Aumentare la qualità, diminuire la produzione e riallacciare i rapporti umani con i clienti sarà il punto di partenza per rendere nuovamente l’economia del surf indipendente e sostenibile. Ci avete fatto caso che ci sono sempre più tavole di piccoli brand in acqua? Oppure che i surfisti non smaniano più per vestirsi di marca? Piccoli segnali che il pubblico è stanco di questa situazione.