Vi ricordate quando nella cassetta della posta trovavate l’ultimo numero di Surfer Magazine? Oppure di quante volte andavate in edicola a stressare il giornalaio per sapere se l’ultimo numero di The Surfers Journal con VHS allegato era finalmente arrivato? Attendevamo un mese, a volte due, prima di poter ammirare le foto dei nostri eroi in giro per il mondo. I contenuti erano sempre mozzafiato e alimentavano i nostri sogni e lo spirito della ricerca. Quando ho iniziato a fotografare, non molto tempo fa, le riviste erano ancora il maggior mezzo di condivisione del surf. Gli scatti rimanevano blindati per mesi negli hard disk dei fotografi e l’ambizione era quella di poter vedere una propria foto pubblicata in copertina. Negli ultimi anni però, un fulmine a ciel sereno si è abbattuto sul mondo: Instagram. Una lama a doppio taglio che da una parte ha dato la possibilità al surf di espandersi e crescere, ma che di contro ne ha completamente ucciso la poesia e la maestosità.
INSTantaneo
“Video killed the radio star” cantavano i The Buggles nel 1980. Il pezzo anticipò di un anno la nascita di MTV, quasi una premonizione di quello che sarebbe successo nei vent’anni seguenti. Gli ascolti radio crollarono in favore di quelli televisivi. Anni dopo però, con la crescita globale e un mondo sempre più in movimento, nonostante l’ascesa di YouTube e le piattaforme di streaming, la radio è ancora viva e più in salute di 20 anni fa, mentre MTV ha chiuso i battenti per sempre. Il surf è diventato istantaneo, usa e getta, e con il consolidamento della comunicazione via social network si è presa una strada percorso simile a quello imboccata precedentemente dalla musica. I surfer professionisti fanno a gara a chi pubblica per primo un edit della giornata appena trascorsa tra le onde, gli sponsor non chiedono più la qualità ma pretendono contenuti ogni giorno ad ogni ora. Di riflesso, tutto il movimento viene colpito dalla voglia di pubblicare tutto e subito. Le nuove generazioni non danno più peso a ciò che vedono e una bella fotografia su Instagram dura poco più di 24 ore.
Voglia di dimostrare
Tante volte mi sono sentito dire: “Questa qualche anno fa sarebbe stata da copertina”. Ammetto che ci ho provato a dare un peso alle mie foto e spesso, da quei magazine che adesso non pubblicano più, mi sono sentito rispondere: “Non abbiamo budget”, “Pubblichiamo a pagamento”, “Lo sponsor del surfista nella tua foto non ci paga, non possiamo pubblicare la tua foto”. Poi leggevo gli articoli e vedevo le foto stampate sopra, spesso ho pensato: “Ma perché? Perché far morire cosi una rivista?”. La voglia di rivalsa e di dimostrazione hanno alimentato la fiamma dei social network: mentre i magazine si arricchivano sacrificando i contenuti, non si accorgevano di aver firmato la propria condanna a morte. Ho un hard disk pieno di scatti inediti che non mi sono mai sentito di regalare o di “sprecare” sui social network. Eppure anche un romantico come me non è riuscito a sfuggire al magnetismo malato che i media esercitano sul surf. Più spesso di quanto io pensi, cado in tentazione. Prendo una delle foto migliori della giornata e la pubblico sul mio profilo Instagram. Questo capita anche al surfista, qualsiasi sia il suo livello, alla fine della giornata ci tiene a dimostrare che lui era lì, che ha surfato e che ha preso le migliori onde della giornata. La voglia di dimostrare prende il sopravvento su tutto il resto. Perché?
Narcisismo social
Ogni surfista è anche un inguaribile esteta, siamo tutti amanti del bello e in particolar modo siamo dei grandi narcisi. Amiamo far vedere al mondo ciò di cui siamo capaci.
Da sempre il surf è dimostrazione, questo è innegabile. Il narcisismo è il carburante che alimenta i social network. Non sopportiamo il fatto che altri, quel giorno, abbiano surfato le nostre stesse onde. Per far vedere che anche noi c’eravamo e non arrivare secondi, pubblichiamo una foto la sera stessa, non rendendoci conto che così vanifichiamo l’essenza del momento. Cosa ci porta a fare questo?
Illusione social
I social network sono il più grande trucco illusionistico del ventunesimo secolo. Puoi mentire a tutti, perfino a te stesso. Quel giorno epico eri a lavoro e non sopporti il fatto che altri abbiano surfato al tuo posto? Falli rosicare pubblicando una vecchia foto e fai credere che hai scorato un secret spot in solitaria con onde epiche. Non hai abbastanza follower e non sopporti che il poser di turno che si fa le foto con le pinne montate al contrario abbia più like di te? Fai finta di essere un pro, compra una muta, attacca un adesivo gigante sulla tua tavola e tagga il brand come se ti stesse sponsorizzando davvero. Le aziende ti chiedono una foto in cambio di visibilità? Tu gliela regali illudendoti che questo ti porterà nell’élite del surf, in realtà sei l’ennesima pedina di una scacchiera di persone sfruttate e che giorno dopo giorno diventa più grande grazie alle manie di protagonismo di molti pseudo-surfer. Per colpa di chi?
Termina qui il mio lungo viaggio alla ricerca delle cause che hanno portato i social network ad uccidere il vero spirito del surf. Una delle cause maggiori secondo il mio punto di vista è il complesso d’inferiorità. I social network ci mettono costantemente alla prova mostrandoci quanto siano belle le vite altrui, così da scatenare una reazione mista tra ammirazione e gelosia nei confronti degli altri. Come per tutte le categorie della vita, il surf non viene risparmiato. Questo sentimento che ci porta a dimostrare per non essere inferiori ha afflitto anche il surfista moderno, che non insegue più le onde da sogno per saziare la propria fame d’adrenalina, ma spesso per far vedere agli altri che la sua vita è migliore delle altre. Il complesso d’inferiorità può essere definito come l’insieme che raccoglie tutti le mancanze e gli atteggiamenti elencati precedentemente. I social spesso tirano fuori il peggio di noi, ci mettono di fronte ad una realtà fittizia. Io sono un romantico, convinto che prima o poi i magazine torneranno cosi come stanno ritornando le fotografie in 35mm. Sono convinto che in fondo lo spirito del surf non morirà mai, fintanto che ci esisteranno persone come noi, che con 50cm di onda e i venti gelidi invernali saranno in acqua con qualche amico a pensare “Se non è amore questo…”
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2 commenti
L’età dell’oro romantica del surf è terminata da un pezzo e purtroppo non possiamo che accettarlo. Tutto è social, tutto è globale. Non esistono più ricerca, scoperta, emozioni nuove e inaspettate. Ora è tutto là, in quei 6 pollici amoled che teniamo in mano o che forse tengono noi per la mente, al guinzaglio servi di una tecnologia che va ben oltre quanto forse potessimo desiderare. Macchine, non più umani, ma seminari, privi di discernimento e incanalare tutti in una unica direzione, verso un mondo fatto di apparenza , ma non di sostanza, di falsi miti e immagini patinate condite da photoshop.
Questa è la direzione da cui non c’è way back. Indietro non si torna, non si può tornare più. Il surf, che idealmente vorrebbe essere espressione di libertà, non è esente da tutto ciò, ma vi si adatta come ogni cosa. E ai vecchi restano i ricordi di momenti che nessuno vivrà più, mentre continuiamo a sprecare quanto di più irrecuperabile esista, d: il nostro tempo, dentro la gabbia dorata degli I- phones
Non si può tornare indietro, magari qualcuno di noi può far si che si continui a raccontare la vera essenza del surf. I ricordi e le emozioni che le onde e il mare sanno regalare non verranno mai cancellate da un social network. Personalmente vivo il surf da dietro la lente della macchina fotografica e tra i miei obiettivi c’è quello di far si che in futuro ci siano dei documenti e ci sia una cultura per i più giovani. Noi siamo testimoni, abbiamo ereditato qualcosa da voi che c’eravate prima di noi. Non sarebbe giusto non continuare a raccontare la storia di questo meraviglioso sport.
Io stampo le foto, mi piace guardarle, toccarle. Mi piace scattare a rullino e dare un peso alle immagini. Spero che come me ci siano altre persone che la pensano allo stesso modo.
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