Navigando per la rete è facile oggi imbattersi in eco-influencer, e tra questi spesso e volentieri surfisti, che sfruttano la propria immagine e il proprio seguito per promuovere azioni e tendenze che abbiano come obiettivo la salvaguardia dell’ambiente e del nostro amato pianeta. Sono sinceramente convinto che queste persone debbano essere ammirate e rispettate per l’impegno e il contributo in favore della causa ambientalista, ma è davvero possibile per un surfista essere sostenibile al 100%? Vorrei proporvi un gioco, definire l’identikit del perfetto surfista eco-friendly. Dai viaggi all’attrezzatura allo stile di vita, cercheremo di sviscerare ogni abitudine per definire il profilo dell’essere perfetto, il surfista ad impatto 0.
Dimmi dove vivi e ti dirò quanto inquini
La distanza dal mare è il primo fattore che incide sull’impatto ambientale di un surfista. Purtroppo non tutti hanno la fortuna di vivere a cinque minuti dal proprio homespot, anzi, la maggior parte dei surfisti italiani abitano in città o in zone urbanizzate, dove per raggiungere le onde è necessario spostarsi con un mezzo addirittura per ore ed ore di strada. Se a questo aggiungiamo la spiccata tendenza del surfista italiano a viaggiare all’estero, la situazione finisce soltanto per peggiorare: basti pensare che i quantitativi in termini di emissioni di un aereo di linea mediamente corrispondono a quello di 600 automobili Euro 0.
Quale sarebbe quindi la soluzione più eco-compatibile in questo caso? Preparatevi ad una favoletta utopistica: il surfista 100% eco-friendly dovrebbe vivere in un’oasi felice, con casa a due passi dallo spot e dall’ambiente di lavoro, per cui non dovrà utilizzare auto o mezzi pubblici per spostarsi e portare a compimento tutti gli impegni del quotidiano. Non stento a credere che esistano poche persone al mondo con la fortuna di condurre una vita di questo tipo.
Aggiungerei che il nostro surfista-tipo, appunto per la fortuna che ha di poter vivere in un contesto del genere, dovrà fare il più possibile per salvaguardare il proprio spot dai rifiuti e da chi inquina. Un’abitudine molto diffusa anche qui in Italia grazie ad associazioni come Sons of the Ocean e persone come Roby D’Amico, che un clean-up alla volta stanno riuscendo a sensibilizzare chi come noi gioisce del mare 365 giorni all’anno.
Alaia o morte: produrre tavole costa all’ambiente
Foam di poliuretano, fibra di vetro e resina, nocivi sia per l’uomo che per l’ambiente, sono i materiali che da oltre sessant’anni vengono utilizzati dalla maggior parte degli shaper per sfornare tavole. Innovazioni eco-sostenibili a parte, questi derivati da polimeri plastici compongono una grossa percentuale dei nostri quiver. Attenzione però perché l’impatto ambientale delle tavole da surf non riguarda solamente la produzione, ma l’impronta inquinante dei trasporti che ce la recapitano alla porta di casa è estremamente rilevante. La soluzione più estrema per il nostro surfista-tipo sarebbe surfare con tavole di legno locale prodotte da shaper locali: a dispetto delle evidenti carenze nel campo della performance, sarebbero incommensurabili i benefici in termini di durabilità, resistenza e biodegradabilità.
Un’alternativa al problema un po’ meno eco-friendly, ma più che accettabile, è quella di supportare shaper di zona e acquistare tavole prodotte con pani riciclati (o biologici) o in legno e resine epossidiche sostenibili. Resterebbe comunque il fattore trasporto e lo smaltimento delle materie prime.
La paraffina? Lasciamo stare
Se volete saperne di più sul tema vi rimando all’articolo ‘Ecocere o paraffina? La sostenibilità che insidia l’abitudine’, in cui Leo e Anna Sagnella approfondiscono l’argomento paraffina eco dal punto di vista produttivo e tecnico. Quel che ne emerge è che la wax, oltre a comportare un’elevata emissione di anidride carbonica durante le fasi produttive, tende a restare nell’ambiente per molti anni, soprattutto in mare, andando a compromettere i normali processi biologici degli organismi viventi.
Non sono mancati negli anni tentativi di mettere ecocere nelle vetrine dei surfshop, ma per abitudine e/o differenze di prestazione il surfista medio continua a preferire una Fu Wax rispetto a una Matunas. Sicuramente, come già sottolineato nell’articolo di Leo e Anna, sarà molto difficile invertire una tendenza del genere. Per il nostro perfetto surfista eco-friendly, però, non restano altre soluzioni se non quella di adottare wax di origine naturale, come quelle prodotte in loco da Luigi di Caerenova.
Il surfista 100% eco-friendly non esiste
Dettagliando ulteriormente l’identikit del surfista 100% eco-friendly con discorsi su mute, abbigliamento e stile di vita peggiorerei soltanto la leggibilità di questo articolo. Il punto è questo: per quanto le immagini ce lo possano far credere, non esiste nessun surfista (o umano) che possa vivere ad impatto 0. Siamo ormai inglobati in un sistema che se propone vie d’uscita da un lato, ne sbarra altrettante dall’altro, come un cane che si morde la coda. Tanto di cappello a chi promuove uno stile di vita sostenibile, che sia nel surf o nella vita di tutti i giorni: l’importante è dare un contributo. Spero solo che quello che viene mostrato nel mondo social sia un decimo di quello che viene effettivamente fatto nella realtà: quello che notiamo di una casa spesso è la facciata, ma senza le fondamenta e i muri l’edificio non si reggerebbe in piedi. Concludo dicendo che potremmo in qualsiasi modo vantarci di avere vestiti in cotone organico, mute in Yulex, tavole in sughero e cera d’api come paraffina, ma in ogni caso la strada per avere il bollino verde addosso è ancora piuttosto lunga. Serve più di una partecipazione a un clean-up, più di una storia Instagram…serve più contributo dal basso. In un disegno utopico del genere, l’unica soluzione per essere davvero eco-friendly al 100% tornare ad epoche antiche in cui la globalizzazione non esisteva e il surf era praticato dai re hawaiiani sulle alaia.