di Luca Filidei
Ormai è chiaro: per arrivare (e restare) ad alti livelli nello sport professionistico bisogna raggiungere un complicato mix tra benessere fisico e soprattutto mentale. Sì, perché se i workout da Mr. Olympia potenziano il corpo e la corretta alimentazione alla Daniel Reid (guru di Kelly) preserva l’equilibrio interno, c’è poi il training della mente, alias il dialogo con sé stessi, la calma interiore, qualcosa al tempo stesso intangibile e straordinariamente concreto.
Ma perché fare tutto questo? Perché leggere manuali, ascoltare discorsi motivazionali o seguire corsi incentrati sull’arte del pensiero? Life is too short to waste your time. La prima risposta è: per arginare lo stress. Qualsiasi persona ci deve fare i conti, figuriamoci un surfista pro che deve lottare per la sua carriera in ogni heat. Un fatto reso ancora più evidente dalle invenzioni “kiss and cry” di Erik Logan. Cinque eventi per evitare il mid-season cut e poi le Finals in cui ti giochi l’intero anno. Voglio dire, se ci fosse un foglietto illustrativo tra le controindicazioni ci sarebbe senz’altro scritto “esaurimento nervoso”. E infatti ci troviamo con dei top surfer che prendono un periodo di pausa. Gabe Medina ad esempio. Senza dimenticarsi Filipe Toledo, Steph Gilmore, Carissa Moore…Quest’ultima è il caso più emblematico. Due regular season vinte (2022 e 2023), due Finals perse. Ricordo uno suo late take-off disperato: difficile gestire quei momenti.
Ma poi ci sono anche i ritiri (temporanei) per mancanza di motivazioni: andate a leggere la storia di Margo Oberg se volete approfondire. Tutto questo per dire che i “blackout” mentali esistono, eccome. Delle volte il crollo si verifica persino “live”, come quello del tennista Mardy Fish. Kurt Busch, pilota NASCAR, dice al riguardo: “There can be (moments) where you’re perfectly fine and you want to better yourself, or it could be where you’re struggling and you need some help”. Lo sport di alto livello stressa, inutile fare giri di parole. Ma non è finita qui, perché proprio questo aspetto viene in parte utilizzato dai maestri del trash talking, come a dire abbastanza sadicamente: se sei già agitato ci penso io a completare l’opera. Volete degli esempi? Micheal Jordan era un re in questo fondamentale. Chiedete a Nick Anderson e vi spiegherà il perché. Oppure lo stesso Kelly Slater, con il suo atteggiamento molto smart, non eclatante come quello di MJ ma ugualmente efficace. Delle considerazioni che ci riportano alla domanda di qualche riga fa: Perché leggere manuali, ascoltare discorsi motivazionali o seguire corsi incentrati sull’arte del pensiero? La risposta ora è semplice: perché è utile.
La meditazione, del resto, si sta sempre più diffondendo. Nell’attuale Championship Tour è ormai abitudine vedere Griff Colapinto e Jack Robinson concentrati in momenti zen prima delle loro heat, un approccio completamente diverso rispetto al classico riscaldamento con soundtrack (rap, pop, heavy metal: scegliete voi) che qualche anno fa accompagnava la quasi totalità degli atleti. Robinson in particolare ha un know-how fortemente radicato in tal senso. Grazie ai genitori, cibo salutare e dieta equilibrata sono stati i leitmotiv della sua infanzia (a differenza della chips-mania che aveva Kelly da ragazzino). Poi, a diciotto anni, sono arrivati anche i primi contatti con lo yoga, evoluto nel tempo nella pratica del Pranayama, una tecnica che permette il controllo ritmico del respiro.
Al contrario, Colapinto si è invece avvicinato solo recentemente alla meditazione. Niente background familiare in questo caso. Nonostante ciò, le discipline spirituali orientali, in particolare la Sadhana, lo hanno affascinato a tal punto da farlo diventare una specie di “promoter”, come testimoniato dalla serie di video Deep Thoughts pubblicati sulla sua pagina Instagram prima di ogni tappa del Tour. Guardando quello postato in occasione del Tahiti Pro, mi hanno colpito in particolare due parole: “enjoy” e “rush”. La prima non è solo un’intenzione di Griff, ma soprattutto uno stato d’animo, molto diverso da “happy”. Per essere “happy” devi vincere qualcosa. Per godertela, “enjoy”, devi prendere semplicemente l’onda. E poi c’è “rush”, che in questo caso non è un’intenzione di Colapinto. Nessuna fretta quindi. Keep calm. Esci per la tua heat e cerca la connection con l’oceano. Niente di più. Un pensiero condiviso non solo da Robbo e Griff, ma anche dal GOAT (che applica i metodi di Wim Hof), e poi da Koa Smith, Johanne Dafay, Shaun Tomson, Taylor Knox… la lista è infinita. E comprende pure gli espertissimi Tom Carroll e Gerry “Mr. Pipeline” Lopez. Oltre al nostro Leo Fioravanti, che durante uno degli ultimi podcast con noi ha rivelato di essersi avvicinato a queste tecniche.
Di base molto è incentrato sul tema della relatività. I messaggi di Griff in fondo comunicano proprio questo. Gli stessi che sembrano dirci: “Sono nel Tour, è vero, ma le vittorie sono davvero tutto?”. In pratica è come se si applicasse la mentalità del free surfer alla Sergio Bambarén al contesto pro. L’importante è divertirsi, solo così è possibile correre in discesa. E se i risultati non rispettano le aspettative? In quel caso pazienza. Di nuovo, life is too short per trascorrere il tempo a commiserarsi. Ciò avviene attraverso la meditazione ma purtroppo anche tramite vicende drammatiche. Vi racconto una storia. Sapete chi è Lamar Odom? No, non c’entra con il surf. Chi segue la NBA lo sa sicuramente. Lamar giocava nei Lakers, ruolo ala grande, due campionati vinti con Kobe. Nel 2006 perse tragicamente il figlio di nemmeno un anno e da lì in poi giocare nella lega di basket più importante del mondo diventò come palleggiare nel playground sull’altro lato della strada. Gioco in NBA? Okay. Però resta solo basket, niente di più. Una considerazione replicata, con molto meno dramma, da un giocatore degli Utah Jazz avvistato dopo la famosa partita del The Last Shot di Jordan. Mentre il mondo parlava della delusione di Stockton & Co, lui di divertiva guardando un’altra partita di basket. Insomma, perdere contro Michael non era la fine del mondo. Inciso indispensabile: con questa divagazione sul parquet non voglio far intendere che la competizione non sia importante. Mi piace vedere Slater che a 50 anni spacca la tavola per sfogare la frustrazione o Tom Brady che, all’ultimo anno di carriera, scaraventa via il tablet dopo un drive da dimenticare. Ammiro la loro dedizione, il voler essere sempre competitivi. Ma allo stesso tempo comprendo quanto sia importante relativizzare, persino ridere di se stessi. In parole povere: fare il free surfer tra i pro.
E per fare ciò serve preparazione perché la meditazione non è metodo che si improvvisa. Imparare a respirare è ad esempio qualcosa di fondamentale. La chiamano breathwork non per niente. Tom Carroll in questo è un maestro. Andate sulla sua pagina Instagram e guardate i suoi workout. C’è un mondo dietro a inspirare, trattenere il fiato ed espirare. Si passa dall’essere agitati a calmi. A riprendere il controllo del proprio corpo. E non è difficile intuire quanto questo possa essere utile durante le competizioni. Ti aiuta ad affrontare meglio ogni singolo momento ma anche – e forse soprattutto – a dimenticare i propri errori, non gettando un’intera heat nel cestino solo per quell’onda che non hai preso. Piccolo excursus nel mondo del baseball relativo all’argomento. Una delle statistiche “nascoste” alla base della rivoluzione degli Oakland Athletics (vi dice niente il film Moneyball con Brad Pitt?) consisteva proprio nel valutare l’atteggiamento di un battitore dopo uno strike. Sbagliare e riprendersi l’attimo successivo è di fondamentale importanza. Forse più che giocare alla grande per poi scivolare nel panico alla prima difficoltà. Quindi anche se lasci passare una buona onda ricordati di guardare avanti e spaccare la prossima. L’analisi degli errori lasciala per dopo. I compiti si fanno a casa, non nella lineup.
Un tema che si collega anche all’atmosfera che un pro è costretto ad affrontare. Immaginate come sarà il tifo per i californiani durante il Rio Pro. E quello per un brasiliano con un Griff alle Finals…Insomma, non si compete sempre nelle migliori condizioni e con il pubblico a tuo favore. E quindi che fare? Anche in questo caso la meditazione può aiutare. Durante le pre-heat Jack Robinson è come se si scollegasse dal mondo. Fisicamente circondato da persone, in realtà è solo. Lui e i suoi pensieri. I suoi pensieri e lui. Probabilmente si concentra sulla sua personalissima vision, su quale strategia dovrà applicare, su come sfruttare al meglio le condizioni dell’oceano e sulle manovre più adatte. Visualizzerà anche la sua vittoria, riguardo a questo non ci sono dubbi. E con la percentuale che si ritrova, è facile dire che ci azzecca quasi sempre. Un aspetto importante è che non tradisce mai il proprio stile. Si concentra più sul “who am I not?” che sul “who am I?”. Sii te stesso insomma. I cloni non hanno mai vinto i campionati.
Keep paddling, breathing through your nose and living with the Aloha spirit
Jerry Lopez