Lee-Ann Curren ha classe ed eleganza, lo vedi da come tiene la scena sul palco. Non ha bisogno di accattivarsi il pubblico, non ricorre a mosse istrioniche o atteggiamenti da rockstar: semplicemente chiude gli occhi, abbraccia forte la sua chitarra e canta. Un’artista a tutto tondo, che sa emozionare anche attraverso il surf. A lungo partecipante al Championship Tour, Lee-Ann inizia gradualmente ad abbandonare competizioni nel 2014, quando aveva 25 anni: “Mi ero resa conto che l’ambiente delle gare non faceva per me: troppo rumoroso, troppo improntato alla performance. Tutte le ragazze volevano soltanto prevalere l’una sull’altra”. Attualmente Lee-Ann Curren si divide tra la carriera musicale e quella di free surfer impegnata in progetti quasi sempre realizzati in collaborazione con Vans, suo main sponsor. E proprio all’House of Vans Skate & Surf Film Festival abbiamo avuto l’occasione di registrare un podcast e scambiare quattro chiacchiere con Lee-Ann Curren.
Lee-Ann hai mai surfato in Italia?
Sì, tanto tempo fa, in Sardegna. È stato incredibile. E anche a Viareggio una volta. Ho un bel ricordo di quelle session.
Altri posti in cui hai surfato nel Mediterraneo?
Sono stata in Corsica, in Libano e ovviamente anche sulla costa mediterranea della Francia.
Solitamente iniziamo il podcast chiedendo all’ospite di raccontare il modo in cui è cominciato il suo rapporto col surf. Tu hai memoria della tua prima onda?
Il primo ricordo risale a quando prendevo le onde sdraiata sul nose della tavola di mio papà, avrò avuto 3 o 4 anni. Non avevo paura, era più adrenalina, eccitazione. Il fatto che mio papà fosse così a suo agio mi trasmetteva calma e fiducia.
Crescendo invece facevi soltanto surf o praticavi anche altri sport?
No in realtà da piccoli io ed i miei cugini surfavamo soltanto d’estate, quando si andava in spiaggia a passare le giornate con la famiglia. Ma durante l’inverno dopo la scuola facevamo qualsiasi tipo di sport. Intorno ai 14/15 anni ho deciso che avrei puntato sul surf, cercando di farne la mia vita.
Certo non è facile vivere di surf…
Non lo è affatto. Però sono stata fortunata ad avere in famiglia degli esempi di persone che sono riuscite a costruirsi una carriera seguendo la propria passione.
Quindi avere un papà con una fama così grande è stato solo d’ispirazione, non ha aggiunto pressione sulle tue spalle?
Inevitabilmente quando qualcosa in famiglia è così bravo a fare qualcosa, ti senti di dover dimostrare, anche soltanto a livello subconscio e non razionale. Fortunatamente i miei genitori non mi hanno mai forzata a far nulla.
Sei cresciuta a Biarritz che è famosa in Europa per avere una scena surfistica molto improntata allo stile, meno alla performance rispetto ad Hossegor. In che momento della tua vita hai deciso di abbandonare le gare per dedicarti al free surfing?
Quando ero adolescente, e direi fino ai 20 anni, avevo tanta motivazione per le gare, volevo far bene e vincere dei contest. Arrivata nel Tour mi sono accorta che non sentivo più quel fuoco dentro, giravo il mondo per competere ma non avevo tutta quella fame di vittorie. Invece quando le onde erano epiche sentivo un grande trasporto per uscire in mare e dimostrare di poter surfare al top. Ho realizzato che produrre dei video progetti e cercare il lato più creativo del surf era ciò di cui avevo bisogno.
Lee-Ann sei una surfista completa: puoi disegnare curve su un fish o un mid-lenght e ti lanci in condizioni pesanti senza paura…ma cosa ti piace di più del surf?
Direi che mi piacciono entrambi gli aspetti che hai menzionato. Sicuramente non c’è nulla nel surf come prendere un bel tubo e condividere una session epica con gli amici. Se invece sto passando un periodo in cui sono in tour a suonare, preferisco divertirmi con onde nella media. È anche una questione di forma fisica.
Perciò in preparazione ad un viaggio alla ricerca di onde tubanti segui una sorta di routine fisica? Ti alleni molto fuori dall’acqua?
Sì dopo l’estate inizio sempre una preparazione atletica più intensa per prepararmi all’inverno alle Hawaii per esempio. Ultimamente passo giornate intere in studio a suonare e devo accettare il fatto che non sono sempre veramente pronta a certe condizioni. Infatti quando arrivo sul posto, alle Hawaii oppure a Tahiti, la vivo sempre con calma, ricomincio gradualmente a prendere confidenza col mare. Se provi a surfare al massimo delle tue capacità quando non sei al top della condizione puoi farti male molto facilmente. Devi approcciarti con umiltà e consapevolezza.
È molto bello che tu dica questo Lee-Ann, credo sia un messaggio utile anche per tutti i surfisti mediterranei che ci leggeranno. A noi capita di non surfare per settimane, a volte mesi, e quando tornano le onde vogliamo dare tutto e subito. Invece dovremmo prenderla con più calma…
Sì ma lo capisco, non è facile. Il surf però ti insegna che nonostante certi giorni possa andar bene e altri no, c’è sempre modo di divertirsi in acqua. E provare tavole diverse aiuta in questo.
Ecco, hai sollevato un altro argomento interessante, che vorrei approfondire: surfare tavole alternative adesso è un trend. Pensi che un surfista intermedio possa avvantaggiarsene?
Io per prima ho speso fin troppo tempo a capire che surfare tavole alternative fosse un’ottima abitudine. Quando facevo le gare avevo un quiver di dieci 5.10 che credevo essere molto diverse tra loro, invece erano tutte identiche spiccicate. Poi aprendomi alle tavole alternative mi sono accorta che appena tornavo su un thruster high performance ero nettamente migliorata: si imparano tantissime cose a surfare con un mid-lenght, un longboard o un softop.
Ti piacciono anche i softop?
Sì, sono i miei preferiti in realtà.
Il miglior surftrip che tu abbia mai fatto?
Sono stata due volte a Tahiti, è stato pazzesco: da bambina non avrei mai creduto di poter surfare Teahupo’o. Le persone del luogo mi hanno aiutata molto, specialmente Raimana, poi la natura lì è incredibile. Sono molto legata anche all’Islanda, ho fatto sei surftrip lì. Non so se i miei amici islandesi saranno felici di sentirmi sponsorizzare la loro terra selvaggia…no dai, scherzo (sorride, ndr). L’Islanda non è la destinazione dove vai per stare sei ore al giorno in acqua a surfare, ma è un posto di una bellezza sconvolgente.
Invece qual è il surftrip che desidereresti fare?
Non sono mai stata in Messico, ma vorrei anche esplorare il Mediterraneo: trovare buone onde lì è come surfare in un luogo esotico e molto lontano, fa un certo effetto.
Cambio completamente argomento e ti propongo una riflessione: al momento vedo un forte contrasto tra il mondo WSL, fatto di atleti professionisti stile NBA, opposti ai free surfer con forte personalità, artisti e creativi come te. Credi che la cultura del surf stia andando in una o nell’altra direzione?
Con l’avvento delle Olimpiadi l’equilibrio del surf sicuramente si è spostato verso l’aspetto competitivo, questo è un fatto. Ma credo che gli investimenti delle federazioni stiano favorendo di riflesso anche la crescita del surf femminile e dei giovani provenienti da paesi che storicamente avevano meno possibilità e tradizione surfistica. D’altra parte ritengo che la nostra cultura possa resistere ad ogni cambiamento perché il surf non è uno sport come gli altri. Innovatori e creativi continueranno ad esprimersi attraverso la forma d’arte che chiamiamo surf.
Dall’ultimo censimento disponibile online leggiamo che nel mondo esistono 23 milioni di surfisti, ma soltanto il 19% di questi 23 milioni sono surfiste donne. Com’è possibile Lee-Ann? È folle.
Sì, lo è. Devo dirti però che non mi stupisce: quando vado a surfare non vedo mai una situazione 50 e 50, tantomeno una maggioranza femminile. Comunque è interessante che tu stia sottolineando la questione.
Credi che la situazione stia migliorando?
Penso di sì. Nella generazione di mia mamma forse le donne erano il 5% del totale dei surfisti del mondo, adesso io e te siamo qui a dire che non è normale.
Come pensi che potremmo coinvolgere più ragazze nel surf?
Intanto dovremmo provare a limitare il localismo tossico che porta ad atteggiamenti aggressivi. Ultimamente abbiamo visto perfino immagini di ragazze prese a cazzotti in mare: come puoi anche solo pensare di compiere un atto così spregevole mentre sei in mare a fare un’attività rigenerante come il surf?
Passiamo alla musica. Quando in passato durante altri podcast ho chiesto ad artisti e musicisti se traessero ispirazione diretta dal surf, mi hanno risposto che in realtà la connessione non è così immediata. Tu come la vivi?
Diciamo che se inizi a comporre musica pensando “questa melodia dovrebbe essere come le onde, suonare così e così…”, finisci per importi dei percorsi mentali che non aiutano. Devi improvvisare, come nel surf: in questo trovo delle similitudini. Quando sei in mare non puoi dire “voglio un a-frame con una sezione da air in fondo”, non funziona così. Remi l’onda, ti alzi in piedi, osservi e reagisci a quello che l’onda ti propone.
Pensi che essere una surfista stia aiutando la tua carriera musicale?
In certi sensi sì. Domani ad esempio suonerò a Milano in un festival a cui sono invitata come surfista, così come comporre musica per dei surf film mi offre delle opportunità in più. D’altra parte nell’industria musicale a volte ti etichettano come la surfista, quella che viene da fuori, quella che passa le giornate tra le onde. Però non m’importa: è ciò che sono e andrò avanti così.