Non sempre i riflettori danno luce agli atleti migliori, a volte nell’ombra ci sono talenti che non hanno nulla da invidiare ai più noti. L’obiettivo di No Sponsor è proprio questo: dare spazio a chi, per un motivo o per un altro, non è tra i nomi che compaiono ogni giorno sui media. È un grandissimo onore per me oggi raccontarvi la storia di Alessandro Demartini, per il sottoscritto un fratello oltre che mentore, con il quale ho avuto il piacere di approfondire in una chiacchierata alcuni aspetti della sua vita e del rapporto con il surf.
Ci sarebbero così tante cose da dire che ridurre tutto a un semplice articolo pare quasi sminuire la storia di personaggi del genere, ma se dovessi riassumere la sua in 3 righe, stile Wikipedia, lo presenterei come segue: nato a Genova il 5 giugno 1992, cresciuto a pane e libecciate liguri, dopo un percorso da giovane atleta internazionale Alessandro Demartini è oggi proprietario della Wolfhouse, una tra le più famose surfhouse italiane con vista sull’Atlantico.
Nella precedente puntata di No Sponsor abbiamo intervistato un pilota di aerei e la prossima sarà dedicata ad un medico, non saprei per semplificare in che categoria mettere Alessandro. Mi risponde così: “Non è semplice dare una definizione precisa di quello che faccio nella vita. Oltre a gestire la surfhouse con Camilla, è da un paio d’anni che ho aperto anche la mia scuola di surf marchiata Wolfhouse, alla quale dedico gran parte della mia giornata facendo coaching agli ospiti”. Lo conosco bene Ale, ho lavorato con lui e non vi nascondo che nonostante abiti 365 giorni l’anno sull’oceano capita che paradossalmente non abbia tempo da dedicare al surf, soprattutto in alta stagione. Vado affondo su questo aspetto perché mi interessa capire se, oltre alle facili (e non per questo del tutto inesatte) frasi del tipo ‘vabbè ma Ale Demartini in fondo è un surfista a tempo pieno’, ci siano momenti o periodi del suo quotidiano in cui diventa difficile, se non impossibile, allenarsi per diventare un surfista migliore. La risposta: “In alta stagione è difficile trovare del tempo per surfare: tra almeno due lezioni al mattino che faccio e la gestione della surfhouse, dei nuovi arrivi e dei surf-safari in quattro/cinque mesi non sono riuscito a fare più di cinque session”.
Essere imprenditore nel mondo del surf
Aprire di questi tempi un’attività come una surfhouse fuori dall’Italia sembra ormai un progetto alla portata di tutti, ma la strada che ha condotto Alessandro e la sua compagna Camilla (pure lei longboarder di tutto rispetto) a trovare una dimensione nel mondo del surf-business non è stata priva di ostacoli e curve. Tutto è iniziato dieci anni fa circa, quando i due appena maggiorenni partirono per le Canarie con il sogno di poter “creare una casa per amici, per surfare insieme, divertirsi, imparare e insegnare” tutto ciò che hanno raccolto lungo il cammino (menzione d’onore in questo caso per i genitori di Ale, che lo hanno avviato a questo mondo trasmettendogli la vera passione del surf). L’inizio è sempre complicato. Da expat, soprattutto, pur cercando di fare ogni step con accuratezza e precisione organizzativa si rischia comunque di esser visti male in terra straniera, etichettati come forestieri venuti per togliere lavoro alla gente del posto.
Oggi la Wolfhouse ha due sedi: una a Playa de Somo, in Cantabria, e una a Moliets-et-Maa, piccola località poco a nord di Hossegor. Diversamente da quanto una persona potrebbe pensare, aprire la seconda surfhouse non è stato poi così complicato. Sicuramente, fondamentale è stato il supporto del fratello Eric, oggi gestore della succursale francese, senza il quale non sarebbe stato possibile aprire una seconda sede. Ale afferma di aver trovato un ambiente molto cordiale e rispettoso in Francia, una situazione idilliaca rispetto a quanto patito in Spagna. “Il trucco è entrare in punta di piedi, o come dicono qua ‘pasar desapercibido’, come se non ci fossi”, racconta Ale prendendo a prestito un modo di dire del paese che ormai per lui è casa. E poi aggiunge: “Bisogna fare tutto in maniera pulita, educata e nel rispetto dei locali, dell’ambiente, della gente, delle istituzioni, delle tasse e delle licenze, senza fare rumore”.
Oggi, e aggiungerei ‘finalmente’ come in un lieto fine, Ale può godersi la sua surfhouse in pace e armonia con i locali spagnoli, che addirittura ora lo chiamano per fare il giudice alle competizioni nazionali spagnole. Questo è l’esempio che si può vivere di surf anche senza dover apparire nei ranking dei QS internazionali: si lavora da Pasqua ad Halloween sull’oceano per poi svernare il resto dell’anno, girando il mondo in cerca di onde, magari al caldo.
Surfare a Pipeline
Mi vengono in mente poche persone, italiane e cresciute surfisticamente in Italia, che abbiano avuto le palle di surfare una delle onde più leggendarie ma allo stesso tempo magnificamente spaventose del mondo: Pipeline. Alessandro Demartini, come testimonia la foto (William Weaver) di copertina dell’articolo, appartiene a questa cerchia ristretta. A detta di Ale, le onde che si trovano alle Hawaii sono comparabili in termini di potenza e massa d’acqua, in larga scala, soltanto forse ad alcuni spot delle Canarie come Mejillones o Acid Drop, per portare qualche esempio più vicino ai nostri canoni. Nei tre inverni in cui è stato alle Hawaii, Alessandro ha avuto la fortuna di beccare due XL swell nella North Shore di Oahu e non si è di certo lasciato intimorire: “Quando vedi solo 15/20 persone in mare a Pipeline due domande te le fai perché effettivamente sono un po’ pochi…Però sei arrivato dall’Italia, dall’altra parte del mondo: di fronte a condizioni simili che fai, non ti butti?”.
Oltre ai rischi difronte a cui ti mette la North Shore di Oahu, ad incrementare il tasso di difficoltà di Pipeline si aggiunge il “pack”, il branco di mostri sacri che si muovono come uno stormo di rondini sulla lineup. Dai fratelli Florence a Jamie O’Brien, considerando anche tutti i pro (tra cui anche Leo Fioravanti) che passano l’inverno lì per il Triple Crown, il livello surfistico generale è talmente alto che pensare di lucrare una di quelle classiche sinistre tubanti e perfette che vediamo nei video diventa praticamente un incubo. Ale afferma infatti, trasmettendo la tensione che puoi provare solo in momenti simili che “le onde che pigli son quelle che loro non prendono. Le uniche buone buone che ho preso son state le onde che da Backdoor chiudono verso Pipeline, un po’ più da ovest, che quando le guardi ti rendi conto che sono proprio dei buchi neri”.
Curiosità: indovinate chi c’era dentro al tubo più grosso che Alessandro Demartini abbia mai visto dal vivo? Il leggendario Derek Ho, venuto a mancare l’anno scorso. Ale va con la cronaca dell’accaduto: “Eravamo tutti sul secondo reef. Io ne ho presa una che purtroppo non ha connesso bene con la sezione tubante della secca sotto. Tornando su sparato dal canale, vedo Derek che parte su un’onda dal second reef che non frange, fino ad arrivare con tutta la sua potenza e misura a frangersi su sé stessa nel picco inferiore: un tubo enorme dove ci sarebbero stati dentro un autobus e mezzo, con Derek dentro che urlando si prese il lip in testa”. Da questo racconto ho sentito il rumore pieno dell’onda, ho visto il colore smeraldo dell’acqua, mi sono immaginato i vortici di schiuma che sferzavano il fondale di coralli. Che storia.
Sponsor o No-Sponsor?
A citare questa sfilza di leggende e professionisti mi è venuto in mente che non so se Alessandro Demartini abbia mai avuto degli sponsor. Meglio rimediare prima che qualcuno ci bacchetti, anche perché il titolo della rubrica parla chiaro: No Sponsor. Ale allora che mi dici? Giura di dire la verità e nient’altro che la verità: “In realtà dai 14 ai 20 anni ho avuto la fortuna di avere qualche sponsor: in quegli anni era un mercato molto competitivo e le aziende investivano molto sui giovani. Dai 18 ai 20 anni ho fatto parte del team DC, Protest, Monster Energy e Smith, che mi aiutavano anche economicamente con qualche rimborso spese. Quando poi mi sono trasferito alle Canarie ho smesso di gareggiare e sono uscito dai radar”. Ok basta, mi hai tradito: sei fuori. Espulso.
Big wave surfing
Poi do una scorsa alla sua pagina Instagram e ci ripenso, perché sarò di parte ma questo è uno a cui riesce tutto e bene. Fatevi un giro anche voi qui e provate a convincermi che Demartini non sia un surfista completo: qualsiasi cosa abbia sotto ai piedi non pregiudica lo stile raffinato e la tecnica magistrale che lo contraddistinguono. Non si lascia intimorire nemmeno dalle onde grosse, essendo anzi un amante del big wave paddling. Oltre a Pipe, ha surfato a Waimea, negli outer reef delle Canarie, Mundaka XXL e onde come La Vaca, il tempio del big wave basco.
Ho sempre avuto una sorta di letale attrazione mista a curiosità verso quel mondo. Non necessariamente perché vorrei cimentarmici, ma semplicemente per il fatto che sembra quasi inaccessibile a una persona come me: magari capace e con esperienza, ma priva di quella componente di lucida follia che ti permette di sfidare certe condizioni. Cosa serve veramente per entrare in un mondo simile? Dal punto di vista di Ale, oltre a una predisposizione mentale adeguata, è necessario mangiare bene, dormire bene e soprattutto allenarsi fisicamente. E proprio su quest’ultimo punto ha voluto mettere l’accento Alessandro Demartini: “Da quando seguo i corsi yoga di Camilla, la mia compagna, mi son reso conto dell’importanza di doversi mantenere sempre in forma. Se prima contava quasi solo la capacità tecnica in acqua, adesso siamo quasi al punto in cui la priorità va all’allenamento a secco. Per me adottare un preciso regime di esercizio fisico è stata una svolta, la prestazione in acqua è migliorata nettamente”. Resta necessario avere un’esperienza surfistica di lungo corso, ma Ale afferma che un italiano con un buon livello di surf e la giusta preparazione possa tranquillamente affrontare onde pesanti e più pericolose.
Siamo agli sgoccioli della chiacchierata. Ale è secondo me uno tra i surfisti più talentuosi e completi che l’Italia abbia mai visto nascere, ma allo stesso tempo tra i più sottovalutati dall’opinione pubblica. A differenza sua però che vive di mare, ci sono persone in Italia che riescono a permettersi giusto quelle sporadiche due ore di surf all’alba prima di andare in ufficio a lavorare. Coinvolgo Alessandro Demartini nel ragionamento: conosci qualche talento qua in Italia che faccia una vita del genere? Alessandro Demartini risponde: “Scorra (all’anagrafe Luca Corrado), surfista ligure, è il primo a cui ho pensato quando mi hai detto ‘No Sponsor’. È davvero bravo a surfare e mi affascina la sua personalità. Inoltre lui fa longboard classico, una roba per pochi virtuosi. Un’altra persona che mi viene in mente è il chiavarino Marcelo Sepulveda: lui ha contribuito molto alla mia crescita surfistica, insegnandomi un paio di trucchi quando ero ancora agli inizi.”