Testo di Leonardo Franceschini
Foto di Francesco Zoppè
Perché, direte, andare a fare surf a Venezia mentre dalla Liguria a fino sotto Roma le onde saranno sicuramente molto buone? Ve la racconto per com’è andata, sinceramente. Da poco sono tornato a vivere a Bologna. Da romano la sto un po’ soffrendo, soprattutto perché Banzai ha deciso di regalare ai miei amici un autunno senza precedenti, aumentando così i miei rimpianti. Paradossalmente però, la maggior parte dei clienti di Surfsuit sono nel nord Italia, oppure addirittura in Svizzera. E poi al cuore non si comanda. Quindi si parte da dove vi scrivo adesso: Bologna, al centro di tutto, forse un giorno anche del surf (ma questa è un’altra storia). Dicevamo?
Venerdì Levanto, sabato Varazze, domenica Forte dei Marmi. Sullo sfondo un Banzai epico e senza confini, un ultimo mese all’altezza dei migliori point portoghesi. Previsioni abbastanza scritte, il piano è servito. Ma non ho tempo, devo lavorare, in più ho viaggiato tanto per lavoro ultimamente quindi la decisione è presa: starò a casa. O vicino casa, insomma. L’Adriatico sussulta, qualcosa bolle in pentola. Chiamo i miei amici delle Marche, poi Matte Fabbri in Romagna: “Sì dai Leo, andiamo un po’ più su, le fa”. Il mare più vicino a Bologna sono i lidi ravennati, una volata. E più su ancora che c’è? Il Veneto, il Friuli. Ricordavo un video pubblicato da Surfcorner e ripreso da una webcam di Chioggia. Sono andato a ricercalo, dicevo questo:
Chioggia è in Veneto, ma avevo anche notizie di onde in Friuli, principalmente a Lignano Sabbiadoro. Allora sai che faccio? Chiediamo l’aiuto da casa: storie su Tuttologic Surf con box domande rivolto a surfisti veneti e friulani. Oltre 50 risposte, tante informazioni e voglia di condividere, un’accoglienza calda che riconcilia col surf esacerbato dal nervosismo che si respira coste tirreniche. Grazie a Tommy, mi metto in contatto con Francesco Zoppè, conosciuto due anni fa durante questo trip alle Maldive. Fra vive al Lido di Venezia, una lingua di terra che difende la laguna probabilmente più celebre del mondo. Ma pensa che figata dire di aver surfato a Venezia. Per un attimo mi sono sentito un Dylan Graves de noantri, Dylan sarebbe sicuramente andato a caccia di weird waves in altissimo Adriatico. E dai, facciamolo.
Premessa: spesso in Italia facciamo un surrogato del surf, non il vero surf.
Premessa: ragazzi come Francesco e gli altri 11 che ho contato in acqua nell’esatto spot dove siamo entrati il 2 Dicembre hanno tutto il mio rispetto, sono un esempio di amore incondizionato e passione per il surf. Spesso quello che facciamo in Italia non è surf, sono il primo a dirlo. È un surrogato del surf. Andiamo in acqua sperando di fare surf, ma il surf è un’altra cosa: sono dieci, venti, trenta secondi di scivolamento su un’onda aperta, regolare, con spinta. Il più delle volte il surf noi lo sogniamo, alimentiamo quel desiderio colmando l’attesa di farlo, con quello che ci offre il Mare Nostrum. Giù il cappello quindi davanti ai surfisti del Veneto e del Friuli, non me ne vogliano mai se ironizzo o gioco (spesso insieme a loro) sulle peculiarità di un gruppo di persone che meriterebbe protezione e cura, proprio come i panda.
La sera prima del fatidico giorno noto che le previsioni danno vento di traverso, ma leggermente da mare. Le mareggiate buone per il surf a Venezia arrivano sempre da Scirocco, ma ci vorrebbe vento da terra per distenere le onde. Non eccessivo, sennò finirebbe tutto troppo presto. Fra è positivo: “Qualcosa dovrebbe uscire dai, io sono fiducioso. Aggiorniamoci alle 22”. Poi manda questo messaggio in chat:
Taxi acqueo, briccole e la pancia: primo contatto con la scena del surf a Venezia.
Da Bologna è comunque una passeggiata, tipo un’ora e un quarto di macchina. Vado sereno, rilassato, senza pretese, più per l’esperienza che per il surf. E se ci scappa un bagnetto, meglio così. Arrivati al Tronchetto, l’isola-parcheggio di Venezia, Francesco ci accoglie con Emiliano, tassista acqueo nonché surfista. Saliamo nello splendido taxi boat di Emi, tutto in legno, in pendant con i tre longheroni del mio mid lenght MF Surfboards. Una scena che non siamo abituati a vedere tutti i giorni, da fotografare. Vado a scambiare due chiacchiere col capitano: “Qui surfiamo 5 volte l’anno e con la pancia, facciamo poco surf. Infatti vediamo perché se il mare regge dopo lavoro vi raggiungo”. Intanto navighiamo a largo della Giudecca, passando esterni, tra le briccole (fasci di tronchi riuniti) che indicano i confini dei canali della laguna. Infatti guardando Venezia dall’alto, vi accorgerete che i canali intorno alle isole principali sono come delle vie obbligate, delle autostrade. Se esci dal tracciato rischi di arenarti. Francesco mi raccontava che alcuni canali sono naturali, altri artificiali invece, che vengono dragati periodicamente.
Arrivati a destinazione incontriamo all’attracco del Lido un personaggio leggendario. Per descriverlo mi avvalgo dello screenshot che vedete qui sotto. Questo signore appena uscito dall’acqua è un ossimoro che cammina: ha il poncho ma anche un piumino sopra, e la muta sotto. I calzari, lo zaino. Un idolo. Dice che “non è niente di che”, ma Emiliano e Francesco predicano calma. Saliamo sulla Kia Carnival del 2004 di Fra, il mezzo perfetto per una surf mission, e dopo 3 minuti contati siamo nel parcheggio dello spot. Ci incamminiamo verso il mare, tra le dune scorgo qualche schiuma. Poi delle barre. Ma non mi dire che sto davvero per fare surf a Venezia?
Questa è la faccia stupita con cui giro il primo video dal telefono, la faccia di un bambino che aveva smesso di credere a Babbo Natale davanti ad un albero pieno di regali. Pieno no dai, ho esagerato: solito entusiasta. Però si fa, si surfa. Il bagnetto c’è e guarda che diamine di posto è questo. Fra mi propone di andare a checkare altri spot, io non mi fido e gli propongo, intanto, di portare una session a casa. Ci cambiamo e lui prova ad entrare con lo scafandro per fare due foto, ma dopo un quarto d’ora circa gli si impalla un tasto e purtroppo è costretto ad indossare di nuovo i panni del surfista. Fuori la camera, dentro la tavola. All’inizio siamo solo io, Francesco ed un suo amico. Poi la destrina affianco della diga (loro la chiamano diga, ma sembra più un pontiletto) si riempie. Mi stupisco di come la forma dell’onda non sia intaccata dal forte vento di traverso, in altri beach break che frequento in Italia il mare sarebbe completamente sconquassato, insurfabile.
In lineup ti giri e contempli la storia.
Mi giro verso riva e vedo l’Hotel Excelsior, dove nella storia hanno soggiornato re e regine, ma anche Winston Churchill. Fa strano pensare che forse un giorno nel passato personaggi storici e celebrità guardando fuori dalle caratteristiche bifore, le finestre secondo l’architettura veneto-bizantina, rivolgendo lo sguardo verso largo, abbiano poggiato gli occhi sulle barre che approcciavano la costa, frangendosi proprio ai piedi dell’Excelsior. È questo il motivo per cui siamo venuti a fare surf a Venezia, perché solo qui, solo in Italia, puoi attendere in lineup sperando di remare un’onda mentre contempli la storia, che si manifesta come in questo caso potente davanti ai tuoi occhi.
Usciamo dall’acqua (ho surfato in 5.4 senza calzari) dopo un’ora e quarantasette minuti, così dice il mio Apple Watch. Ho registrato la session con la solita App Dawn Patrol. Eliminando un paio di presunte onde (spesso vengono conteggiate onde che non sono onde, ma possono essere remate oppure ondine prese sdraiato per tornare a riva), il record per la surfata più lunga si aggira intorno ai 100 metri. E me la ricordo in effetti: un bel drittone condiviso con Francesco, una destra lunga e aperta ma lentina, da long. Altre volte ho preso dei chiusoni veloci con un po’ più di spinta, riuscendo in qualche caso a fare un re-entry contro la schiuma che mi veniva incontro. Conto un cut-back a sinistra, uno a destra. Va bene così: missione compiuta. E non è stato nemmeno semplice remare le onde migliori perché i ragazzi che fanno surf a Venezia hanno una strana abitudine: dopo ogni onda, nonostante il mare fosse piccolo, invece che tornare su remando (anche banalmente per tenersi caldi) facevano il giro da riva. Salivano sulla diga, il pontiletto, camminavano fino in cima, appoggiavano la tavola in acqua e si buttavano. Primi sul picco. Un modo geniale per fare la fila e risparmiare energie, se stai al loro gioco. Io invece tornavo su remando e mi trovavo sempre terzo, quarto, quinto in fila. Comunque mi rimarrà impressa la scena della processione di surfisti in fila indiana che tornano su camminando sul pontile.
Finita la session, Francesco ci porta a pranzo da “Cri Cri e Tendina”, il place to be al Lido di Venezia. Un’osteria tipica rimasta com’era il giorno dell’inaugurazione di chissà quanti anni fa. Mangiamo pesce locale in quantità, spendiamo poco. Dopo pranzo le onde sono ancora lì, sorprendentemente. Guardiamo un altro spot più ad est e sinceramente avremmo potuto fare un altro bagno, ma il vento ormai veniva da sud-ovest e la temperatura esterna si era nettamente abbassata. Muta bagnata, abbuffata…ritirata! Saggia scelta perché poco dopo entrano trenta nodi netti che ci invitano a rimetterci sulla via di casa. Saliamo sul ferry boat da San Nicolò al Tronchetto: 35 minuti di nave con saluto a Piazza San Marco e via, ci siamo. Recuperiamo la macchina al parcheggio pagando una “leggera” tassa di 25€ e si conclude così la giornata di surf a Venezia.
Lo rifarei? Forse no, non domani. Magari dipende anche dal fatto che nell’ultimo mese in Italia abbiamo surfato a dei ritmi a cui non siamo proprio abituati, e questo mi ha portato a fare scelte diverse, alternative, sacrificando la certezza di fare realmente surf per vivere un’esperienza unica. Nel prossimo articolo scriverò proprio del fatto che dopo 40 giorni di onde senza tregua abbiamo scoperto che la stragrande maggioranza dei surfisti italiani non riesco a stare al passo.