Cosa rende un surf spot pericoloso? Come si valuta la difficoltà di un’onda? E soprattutto perché nessuno ha mai pensato di stabilire un criterio condiviso per agevolare l’esperienza di chi per la prima volta si approccia ad un nuovo spot?
Una raffica di domande che Tommaso ha triggerato in me, non ricordo nemmeno bene quando. L’assunto è che forse potremmo classificare i surf spot come le piste da sci, che possono essere azzurre, rosse o nere. La grande differenza tra il surf e lo sci è che i criteri con cui si può valutare una pista sono pressoché immutabili: misurando la pendenza longitudinale e trasversale di un pendio innevato possiamo arrivare ad un risultato esatto, un dato oggettivo. Nonostante abbia la sensazione che con gli anni l’incoscienza delle persone sia generalmente aumentata, mi sento sicuro di poter dire che la classificazione delle piste in colori (segnalata per legge ad inizio discesa) abbia evitato tanti incidenti. Perché non farlo nel surf?
Le surf spot guide: dalla Stormrider a Nomad Surfers, il vangelo dei viaggiatori
Partiamo da ciò che già esiste, le guide. Le surf spot guide hanno rappresentato l’unico imprescindibile punto di riferimento nell’era pre internet. “The World Stormrider Surf Guide” è un magnifico librone di 445 pagine pubblicato per la prima volta nel 1989 da un gruppo di pionieri dell’esplorazione surfistica. Sulla scia della Stormrider Guide sono fiorite negli anni le pubblicazioni sul tema dei surf trip, sia offline che naturalmente online. Nomad Surfers ad esempio raccoglie schede accessibili a tutti e gratuite su circa 60 paesi del mondo dove surfare. Le guide di Nomad sono complete di informazioni su clima, budget, spot, rischi, lingua, moneta corrente ecc. Consigliatissimo. Ma in generale con l’incremento del business legato al turismo del surf (9.5 miliardi annui di giro d’affari), anche altri rinomati player si sono attrezzati con guide di viaggio e consigli offerti addirittura dai surfisti più rappresentativi delle varie nazioni. Lo fa Surfline, con ottimi risultati, nella sezione “Travel” del sito, consultabile solo da desktop. Le spot guide di Surfline sono davvero approfondite e ricche di informazioni note unicamente ai pro della zona, a tal punto che sorge spontanea un’altra domanda: è proprio necessario “vendere” così spudoratamente delle onde?
Il sistema di Surfline basato su 6 indicatori fondamentali: dall’abilità all’affollamento
Rimaniamo però concentrati sul discorso centrale: la classificazione degli spot. Surfline fornisce attraverso semplici infografiche (delle barre di caricamento) informazioni su sei indicatori fondamentali:
- Livello di abilità richiesto.
Su una scala di principiante, intermedio, avanzato. - Livello di localismo.
Su una scala da accogliente o intimidatorio. - Livello di affollamento.
Su una scala da leggero a pesante. - Qualità dello spot.
Su una scala da mediocre a perfetto. - Livello di intensità della remata.
Su una scala da leggere a stremante. - Qualità dell’acqua.
Su una scala da pulita a sporca.
Mi sembra molto accurato devo dire, manca però della sintesi espressa da un semplice colore, che è il risultato come spiegato in precedenza della media tra pendenza longitudinale e trasversale. Ammesso che abbia senso tenere buoni tutti e sei gli indicatori di Surfline, dobbiamo fare un passo in avanti.
Cosa rende un surf spot pericoloso o per soli surfisti esperti?
È la difficoltà dell’onda a rendere un surf spot pericoloso? Quanto incide la composizione del fondale? Affollamento e localismo contano così tanto nel computo generale? Scarterei l’indicatore qualità dell’onda, che non ci aiuta molto in questo caso, e forse anche la qualità dell’acqua (problema reale ma circoscritto). Scarterei anche il livello di abilità richiesto perché più di che un indicatore mi sembra la somma di tante cose, va scorporato. Proviamo così:
1) Difficoltà dell’onda
2) Pericolosità del fondale
3) Livello di affollamento
4) Intensità del localismo
5) Intensità delle correnti
Per fare un lavoro fatto bene, dovremmo adesso decidere in che valore percentuale ognuno dei cinque indicatori debba pesare nella valutazione sintetica e finale di uno spot, espressa in 3 colori: azzurro, rosso, nero. Ho già messo gli indicatori in ordine di importanza, ma spingiamoci ancora un pezzettino oltre:
1) Difficoltà dell’onda = 51%
2) Pericolosità del fondale = 19%
3) Livello di affollamento = 10%
4) Intensità del localismo = 10%
5) Intensità delle correnti = 10%
Un po’ democristiano? Può darsi. Mi sto sforzando però per fare in modo che questo sistemino pensato ragionando ad alta voce qui con voi possa funzionare. La difficoltà dell’onda deve sicuramente spostare gli equilibri e determinare sul risultato finale. Prendiamo banzai però, proviamo a fare il gioco di Banzai con i colori delle piste da sci. Le valutazioni chi farò di seguito sono su scala italiana, non europea.
1) Difficoltà dell’onda = rossa
2) Pericolosità del fondale = rossa
3) Livello di affollamento = nero
4) Intensità del localismo = rossa
5) Intensità delle correnti = azzurra
Cosa viene fuori? Che Banzai è un’onda rossa. La Secca di Varazze per me invece è un’onda nera. Nera per ogni singolo punto tranne 4) e 5). Anche se sull’intensità del localismo potrei cambiare idea (e colore) in base alle giornate, il dato basandosi di fatto sull’aggressività media delle persone può fluttuare imprevedibilmente.
Questo è solo un esperimento senza pretese, un giochino da fare con gli amici al bar, bevendo una birretta post session. Certo è che se le persone avessero paura di entrare in un surf spot “nero” come hanno (avevano?) paura di sciare su una pista “nera”, l’affollamento in Italia sarebbe molto più gestibile.
La foto in copertina è di Alberto Carmagnani.