di Luca Filidei
Ormai di wave pool ne parliamo da parecchio tempo. Anzi, in un precedente articolo che descriveva un circolo privato con onda artificiale di prossima apertura (il Crest Surf Club di New York), mi sono persino riferito ad una rivoluzione già in corso. Del resto, il tema del “surfista urbano” sta diventando sempre più attuale: di recente la surfista Gigi Lucas ha addirittura auspicato l’inserimento del surf lontano dall’oceano tra le discipline della National Collegiate Athletic Association, la famosa NCAA statunitense. Un futuro che può essere certamente più inclusivo, consentendo l’avvicinamento a questo sport da parte di persone prima disinteressate (anche) per motivi geografici. Senza dimenticare l’affollamento che caratterizza alcuni spot, tra l’altro uno dei motivi per cui sarebbe bene accolta una wave pool a Roma.
Sì, perché il funzionamento sembra definitivamente consolidato. Mi riferisco anche all’aspetto economico. Non siamo più ai tempi del Seagaia Ocean Dome, ormai surfabile solo digitalmente per chi avesse ancora una copia di Kelly Slater’s Pro Surfer, e neanche ai tempi di quelle macchinose (e futuristiche, certo) wave pool degli anni Sessanta, con la famosa Big Surf in primis. La contemporaneità è contraddistinta da tecnologie sempre più raffinate, in grado di rassicurare gli investitori su un ritorno economico capace di avviare un loop positivo di idee e proposte che, nonostante possano sembrare “off the map” rispetto al surf, in realtà potrebbero contribuire ad accrescere la fan base di questo sport. Ciò che in effetti sta già avvenendo nell’ultima realizzazione di Wavegarden, una wave pool con tecnologia Cove da 52 moduli situata a Garopaba, vicino a Praia do Rosa. Breve inciso prima di procedere nella lettura: come molti di voi sapranno in quella zona ci sono diversi spot, la stessa Praia do Rosa ha onde surfabili. A cui si aggiungono Praia de Ferrugem, Praia da Silveira, il Guardo do Embau, solo per citarne alcuni. Quindi Surfland Brasile (questo il nome del sito), a differenza di altri Wavegarden come Alaïa Bay, si inserisce in un ambiente che vive già di surf, con local e tutto il resto.
Un problema? Secondo loro assolutamente no. Innanzitutto alcune onde artificiali sono state programmate proprio con l’aiuto di alcuni top surfers (nomi come Tati Weston-Webb, Yago Dora e Jess Mendes non guastano di certo, così come Rob Machado in versione istruttore sulla homepage del sito), e poi la stessa presenza di un Cove consente di avere onde per tutto l’anno, compensando quel 35% di condizioni ottimali che nell’area garantisce l’oceano. Qui, inoltre, non stiamo parlando di una struttura qualsiasi, ma di un “Wavegarden 4.0”, che può essere tradotto come la risposta alla nuova concorrenza, da Endless Surf alla nuovissima wave pool di Abu Dhabi con la tecnologia “Surf Ranch” di Kelly Slater.
Surfland Brasile è del resto un progetto ambizioso, incentrato sul surf – che ne costituisce il fondamentale “core” –, ma anche su molto altro. Un distretto (anche) sportivo di notevoli dimensioni, urbanisticamente impattante, innestato in una zona periferica a bassa densità, precedentemente destinata quasi esclusivamente all’edilizia residenziale. Guardatelo su Google Maps: il Cove (delle dimensioni di circa 160×160 m con Water Treatment System già attivo) è ben identificabile anche se allargate la visuale fino ad inquadrare la 101 e l’oceano. Inutile dire che “per farlo funzionare” sono state necessarie delle opere di urbanizzazione importanti. Dove prima c’erano solo campi ora ci sono strade, rotatorie, parcheggi… Il progresso, direbbero alcuni. La gentrificazione, direbbero altri. Il tema però è un altro: ovvero l’innovazione alla base di Surfland, a metà tra un classico Wavegarden e un club in stile “Crest” di New York.
Già, perché Surfland non contiene solo l’ultimo gioiello nel campo delle onde artificiali progettato nel nord della Spagna, ma una specie di città nella città. All’ingresso il Cove non è nemmeno visibile e le oltre 20 tipologie di onde che può generare sono ancora lontane. Ad accoglierci infatti c’è un’architettura dal design moderno, sempre integrata nella vegetazione che caratterizza il parco. Al di là dei parcheggi e delle strade, questo Wavegarden è posizionato all’interno di una vasta area verde, resa poi più profittevole con l’aggiunta di residenze (278 appartamenti), SPA, palestre, spazi destinati ai bambini, ristoranti, attività commerciali, un museo del surf, una pista da jogging, piscine, hotel (da 78 camere), uno skate park progettato insieme agli skater Pedro Barros e Keegan Palmer. Non manca nulla qui. E se pensate alla sostenibilità, ci sono anche coperture verdi, pannelli fotovoltaici e un sistema di recupero dell’acqua piovana.
Come scrivevo nell’articolo sul Crest la prima swell rivoluzionaria è già arrivata, e questa wave pool ne è la conferma. Ora Wavegarden, società fondata da Fernando Odriozola (padre di Kai e Hans, quest’ultimo appena diventato campione del mondo under 16), punta dritto ad altre quattro conquiste: Sidney, Edimburgo, Tel Aviv, Palm Desert. Costruire una wave pool significa ormai tirar su dei veri e propri resort in stile “golf club”, un paragone che sta diventando sempre più calzante.